MACBETH – UNA VISIONE COMPARATA

«Bello è il brutto e brutto il bello. Fair is foul, and foul is fair.» (Macbeth, William Shakespeare)

Accostarsi ad un capolavoro di William Shakespeare non è impresa facile, essendo concreto il rischio di non riuscire a rendere tutta la complessità del testo e i suoi molteplici significati. Comunemente nota come la tragedia dell’ambizione e del potere sanguinario e violento, Macbeth, scritta tra il 1605-06, è in realtà una tragedia dalle dimensioni mitiche, che presenta varie tematiche: Adamo ed Eva ed il peccato originale, l’amore nocivo, la solitudine, il male come potenzialità negativa che si annida nella nostra anima, ma anche quale aspetto della vita intesa come continuo conflitto tra forze opposte. Infatti tutti i temi contengono anche il loro contrario: il giorno la notte, la luce l’oscurità, l’interno del castello l’esterno, il bello il brutto.

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Nella la tragedia più cupa di Shakespeare possiamo ritrovare finanche un inizio di moderna psicanalisi:  l’uomo inizia a chiedersi se ciò che teme sia dentro di sé e non fuori da sé, cioè se sia la realtà immaginata, proiezione della nostra sfera psichica alterata (della quale le streghe sono metafora) a farci paura e non già le cose come sono. «Le paure reali sono meno tremende di quelle immaginarie», afferma Macbeth. L’uomo è messo di continuo di fronte alla possibilità di scegliere tra la schiavitù delle sue soggezioni psichiche e la libertà dell’individuazione.

Per un regista cercare di rendere tutte queste tematiche è impresa titanica, sicché risulta forse vincente semplificare; infatti la maggior parte della critica indica ne Il trono di sangue di Akira Kurosawa il miglior risultato raggiunto.
Vediamo qui di seguito quali punti di vista sono stati scelti da tre registi, due maestri del cinema, Orson Welles e Roman Polanski, e Justin Kurzel, autore dell’ultimo Macbeth ora in sala.

Macbeth-1948-PosterMACBETH di ORSON WELLES: TRA CINEMA E TEATRO

Regia: Orson Welles; Interpreti: Orson Welles, Jeanette Nolan; Origine: Usa; Anno: 1948; Durata:107’

Abituale frequentatore di Shakespeare, Orson Welles girò Macbeth, già messo in scena a teatro con un cast di attori di colore, in soli 23 giorni (preceduti però, da quattro mesi di prove) in uno studio della Republic con un budget limitatissimo. Le ristrettezze economiche si riflettono nelle scenografie, di evidente stampo espressionistico, e nei costumi, che risultano a volte quasi caricaturali. L’effetto complessivo è un’ambientazione indefinita, quasi un medioevo senza tempo, come nelle fiabe.
I cinque atti della tragedia sono condensati in un’ora e venti minuti, con un evidente approccio teatrale nella ricostruzione in interni di quasi tutti gli spazi e nella mobilità degli attori che si spostano come se fossero sul palco di un teatro.

Il cinema è però presente nel modo di riprendere tipico di Orson Welles: i personaggi vengono inquadrati dal basso, rendendoli dei giganti, o dall’alto, conferendo loro un senso di costrizione e ineluttabilità, specie nei dialoghi durante i quali le posizioni si alternano a seconda della predominanza psicologica dei soggetti agenti. Inoltre, molti dei monologhi di Macbeth, espressioni del suo “stream of consciousness”, sono declamati dalla sua voce fuori campo, espediente non realizzabile in teatro.
La scelta del bianco e nero, sicuramente dettata da motivi economici, esprime tuttavia alla perfezione la tematica di un dramma dove l’uomo si trova a combattere con il suo nemico interiore, tra le sue luci e le sue ombre, tra la sua salvezza e la sua perdizione.

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Nonostante Macbeth sia (anche) una tragedia violenta, il film di Welles lo è pochissimo: poche sono le morti rappresentate, poco il sangue esibito (eccetto per la scena delle mani intrise); la morte di Duncan non viene mostrata per nulla, mentre una sola pugnalata compare nella sequenza della morte di Banquo ed una in quella della morte della moglie e dei figli di Macduff.
I personaggi sono alquanto farseschi, inclusa Lady Macbeth, rappresentata come una donna più grande, severa, quasi una maschera a metà tra la moglie di Frankenstein e le eroine degli horror anni 40.

Macbeth (1948) Directed by Orson Welles Shown from left: Orson Welles (as Macbeth), Jeanette Nolan (as Lady Macbeth)

Su tutti spicca e primeggia, anzi troneggia nella sua solitudine e grandezza, Macbeth-Orson Welles, un imponente Gengis Khan (sia nei lineamenti, sia nei costumi), la cui interpretazione è il vero punto di forza del film: il suo sguardo magnetico e perso, angosciato e imperioso, impaurito e cattivo esprime perfettamente il continuo travaglio interiore di Macbeth sempre scisso tra timore e audacia.

 

polanskis-macbeth-posterMACBETH di ROMAN POLANSKI: VERITA’ STORICA E SPLATTER

Regia: Roman Polanski; Interpreti: John Finch, Francesca Annis; Origine: Usa; Anno: 1971; Durata: 130’

Il Macbeth di Polanski ha un impianto particolarmente rispettoso sia del testo, del quale non viene tralasciato alcun passaggio (arrivando a inserire anche un pezzo cantato per rispettare l’usanza dell’epoca dell’autore), sia della realtà storica del tempo. Interni originali con i relativi arredi ed esterni naturali di forte impatto visivo, oltre che costumi curati in ogni dettaglio, conferiscono una precisa collocazione temporale, possibile grazie a produttori magnanimi, tra i quali figura curiosamente anche la società Playboy di Hugh Hefner.

Il film ha un impianto decisamente registico con riprese nelle quali spesso si compiono più azioni contemporaneamente su diversi piani, specie nelle scene ambientate nel castello, coinvolgendo lo spettatore che è trasportato nella scena. La fotografia, a colori, utilizza filtri tra il rosso e il blu a seconda della tematica delle sequenze.

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Tuttavia il film, risulta spesso irreale, specie nelle sequenze delle tre streghe che si muovono in un universo visionario dalla tensione suggestiva e dai colori soffusi e nebbiosi, come quelli di un sogno.
Ampio spazio viene riservato alla figura di Lady Macbeth, virginale e delicata in contrasto con la durezza del suo cuore, e alla sua progressiva alienazione.
Anche Polanski utilizza ampiamente la voce fuori campo per i monologhi di Macbeth, indicativi del suo travaglio interiore che mai lo abbandona, tranne nel celebre monologo che Macbeth-John Finch declama vagando da una stanza all’altra del castello in preda alla totale confusione. Il Macbeth rappresentato da Polanski è un giovane uomo in pieno smarrimento esistenziale, mai totalmente protagonista, mai totalmente convinto di quanto sta compiendo, quasi sconnesso e alieno rispetto a ciò che tuttavia mette in atto.

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Forse è la stessa confusione, lo stesso smarrimento del regista il quale girò questo film dopo la strage di Bel Air dove fu uccisa la moglie Sharon Tate, incinta del loro primo figlio, per mano della setta di Charles Manson.
Infatti quel che più colpisce nel film è la diffusa rappresentazione della violenza, come un indulgere nella stessa, quasi cercando nella sua ripetuta rappresentazione di esorcizzare il trauma subito fino a consumarlo. La morte di Duncan è segnata da una serie di colpi alla testa e al cuore con profusione di sangue, così come sono violente tutte le morti del film. Una violenza rappresentata con sangue, urla, grida, atrocità, senza risparmiare nulla, quasi cercando una catarsi della tragedia violenta vissuta dallo stesso regista. È come se Polanski, mettendola in scena, sia voluto entrare nella stessa, cercando di carpirne la causa per poi arrendersi, come il protagonista, all’assenza di ogni perché. L’uomo è un essere violento, dalla notte dei tempi, e così sempre sarà, come il finale lascia presagire.

MacbethPosterMACBETH di JUSTIN KURZEL: UN’OCCASIONE MANCATA?

Regia: Justin Kurzel; Interpreti: Michael Fassbender, Marion Cotillard, Origine: Gran Bretagna; Anno: 2015; Durata: 113’

Il regista australiano Justin Kurzel realizza con Macbeth il suo secondo lungometraggio.
Il suo approccio al testo di Shakespeare non è dei più rispettosi: ampie parti sono state eliminate e altrettante, che nel testo sono solo riferite, vengono invece riprodotte, per prediligere infine una rappresentazione della tragedia quale continua battaglia nella quale primeggia il guerriero Macbeth.

Già dall’incipit, dopo il funerale del figlio dei Macbeth (inesistente nel testo originale), lo spettatore viene trasportato nel pieno di un combattimento (quello contro il traditore Macdowald nel testo solo riferito) nel quale si indulge non poco, sicché viene spontaneo chiedersi se per caso non stiamo assistendo ad una nuova versione de Il signore degli anelli o di Braveheart (lo stesso trucco di Mel Gibson è insistentemente riportato sul volto del bravo Fassbender). Forse il regista vuol dirci che Macbeth trae dalla sua forza di guerriero una sorta di delirio di onnipotenza che lo porterà a voler dar fede alla profezia delle tre streghe.

La fotografia a colori reca la firma di Adam Arkapaw di True Detective, con abbondanza di filtri rossi, specie nella lunga ed efficace sequenze del duello finale. Girato in interni originali e in esterni tra la Scozia e l’Inghilterra, il film ha un impianto registico curato, ma mediamente convenzionale, con una ricostruzione fedele alla realtà storica, nella quale sono inserite alcune personali rielaborazioni, specie rispetto al trucco dei due protagonisti.

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Anche in questa opera si ricorre spesso alla voce fuori campo per i monologhi di Macbeth, tranne per il più famoso, dallo stesso declamato in ginocchio mentre stringe tra le braccia Lady Macbeth appena morta.
La violenza delle uccisioni compiute da Macbeth non è enfatizzata, specie quella di Duncan, essendo le atrocità riservate alle scene di battaglia, e si predilige una ripetizione di azioni e scenari (nella foresta vengono compiuti gli omicidi sia di Banquo, che della moglie e dei figli di Macduff).

In definitiva il regista ha variato dove non era necessario e ha eliminato dove era necessario non farlo, tralasciando aspetti fondamentali della tragedia di Shakespeare: il mondo magico delle streghe viene solo accennato, come anche la follia di Lady Macbeth, nel complesso rappresentata troppo semplicisticamente, o come strega o come santa; non vi è alcun riferimento al sangue sulle mani dei due protagonisti. L’opera risulta certo di più facile visione, ma sembra anche la ripetizione, per quanto efficace, di un film di azione sul genere di 300.

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Il Macbeth di Kurzel è un guerriero che combatte fino a ritrovarsi solo contro il mondo. In questa ottica è ben riuscita la sequenza del duello finale, ma risultano altrettanto se non più coinvolgenti quei pochi momenti in cui viene abbandonata ogni pretesa di originalità e di rielaborazione e ci si affida totalmente alla pienezza del testo ed alle notevoli capacità attoriali dei due protagonisti… forse con Shakespeare non serve altro.

 

Vedi anche: La duplice visione del Macbeth shakespeariano: Kurosawa e Kurzel.

 

About Alessandra Quagliarella

Di Bari dove ha frequentato il liceo classico Socrate e si è laurea in Giurisprudenza. Da sempre appassionata di cinema. Nel 2013 ha frequentato il Seminario residenziale di Critica Cinematografica organizzato dalla rivista di settore I duellanti nell'ambito del Bobbio Film Festival ideato e curato dal maestro Marco Bellocchio, nonché il corso di Storia del Cinema presso l'Uniba - Università di Bari a.a.2012/2013. Ideatrice della rubrica "Cinema e Psiche" su Cinemagazzino, rubrica che si propone una riflessione sulle vicende dell’animo umano tramite l’analisi del linguaggio espressivo di quel cinema che se n’è occupato. Nel 2015-2016 ha curato e condotto due trasmissioni sul cinema: 'Sold Out Cinema' e 'Lanterna Magica, 'entrambe su Controradio Bari. Nel 2023 ha curato la rassegna cinematografica collegata al Corso diretto dalla prof.a Francesca Romana Recchia Luciani per le Competenze trasversali con oggetto la Violenza di genere dell'Università di Bari. Nel luglio 2023 ha collaborato alla rassegna 'Under Pressure, azioni e reazioni alla competizione' e nell'ottobre 2023 ha partecipato all'evento 'Taci, anzi parla. Il punto sulla violenza di genere' con un intervento sul film 'Una donna promettente', entrambi organizzati dall'associazione La Giusta Causa.

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