Il Macbeth shakespeariano, come molte altre opere del grande drammaturgo inglese, è stato nel corso degli anni ampiamente utilizzato come canovaccio per numerosi trasposizioni sia cinematografiche (tra tutte ricordiamo le notevoli versioni di Welles e Polanski, oltre quelle di Kurosawa e Kurzel che andremo qui a comparare) che teatrali (si ricordi il Macbett di Ionesco e il Macbetto di Testori).
I risultati sono stati a volte eccellenti come nel caso di Kurosawa, a volte dimenticabili come il Macbeth di Geoffrey Wright.
Regia: Justin Kurzel; Interpreti: Michael Fassbender, Marion Cotillard, Origine: Gran Bretagna; Anno: 2015; Durata: 113’
L’ultimo adattamento filmico della tragedia, in ordine di tempo, è il Macbeth di Justin Kurzel che andiamo qui ad analizzare assieme a Trono di sangue di Akira Kurosawa.
Il regista australiano resta strettamente aderente alla struttura dialogica del dramma shakespeariano, ma se ne distanzia con l’introduzione di alcuni elementi nuovi.
Le weird sisters non sono tre, ma quattro, una sorta di rappresentazione delle fasi della vita in quanto si tratta di tre donne di età differenti e una bambina, alle quali si aggiungerà poi un neonato che una delle donne stringe tra le braccia.
La figura dell’infante è molto presente nella trasposizione di Kurzel, il film si apre con il funerale del piccolo figlio di Macbeth, scena anche questa che nel dramma originale non era contemplata.
Kurzel traduce visivamente la “filthy air” con atmosfere fosche, cupe, velate da una fitta nebbia, ma, a differenza dell’opera di Kurosawa, le alterna a cieli rosso fuoco in cui l’aria sembra addensarsi come il sangue che si sparge intorno.
La forza delle immagini di Adam Arkapaw, direttore della fotografia (che aveva già lavorato con Kurzel in Snowtown) non bastano a dar forza all’intero film che risulta esteticamente freddo nonostante la recitazione impeccabile di Michael Fassbender e Marion Cotillard.
Titolo originale: Kumonosu-Jo; Regia: Akira Kurosawa; Interpreti: Toshirō Mifune, Isuzu Yamada; Origine: Giappone; Anno: 1957; Durata: 110′
L’approccio di Kurosawa al testo del Bardo risente ovviamente del suo background culturale. Da sempre interessato alla storia nazionale, egli traspone storicamente gli eventi nel Giappone del XVI secolo, frequente teatro di battaglie civili molto sanguinose.
Trono di sangue, ovvero Il castello della ragnatela (traduzione letterale del titolo originale), si apre e si chiude (in un andamento circolare) con un coro di un’antica canzone di guerra cinese. Tra le nebbie della landa desolata appare il Macbeth di Kurosawa che reca il nome del nobile Washizu interpretato da un intenso Toshiro Mifune. Lady Washizu è Isuzu Yamada. La mimica facciale di questi due immensi attori trae la propria forza dal Teatro Nō, tradizione alla quale Kurosawa attinge a piene mani. I gesti, le espressioni del viso sono ridotti al minimo, ma questo accentua la grandiosa tragicità della loro interpretazione.
Kurosawa lavora per sottrazione eppure aggiunge intensità alla recitazione.
Lady Washizu, inquietante dark Lady, è una figura centrale. Anche quando non è ancora sulla scena irradia la sua presenza annunciandola con il fruscio della lunga veste.
I dolci ed eterei tratti somatici che disegnano il volto della graziosa Marion Cotillard di Kurzel non li troviamo sul volto della Lady di Kurosawa perché sono annullati da strati di cerone bianco, altra eredità del teatro Nō.
Pur essendo lei l’esecutrice morale del delitto, il regista giapponese le dona ugualmente una grande femminilità, femminilità che non si traduce, in Trono di sangue, nel binomio sesso-potere della coppia regale.
Tale binomio è invece evidente in alcune scene del Macbeth di Kurzel in cui Macbeth/Fassbender esprime la sua passione verso la moglie con la quale condivide non solo la brama di potere.
Nella trasposizione del regista australiano assistiamo a lunghe sequenze di lotta, sangue che schizza, volti sporchi di rosso e di nero. L’uso del ralenti le rende fisiche e allo stesso tempo surreali, ma è nella pellicola in bianco e nero di Kurosawa che, anche grazie alle geniali inquadrature, le figure sembrano perdere di spessore e appaiono a volte come spettri, quasi emanazioni della coscienza di Washizu.
Tale sarà anche la parca che in Trono di sangue sostituisce le tre streghe. Ella compare intenta a tessere su un arcolaio i destini degli uomini, dei quali decide la sorte, ripetendo una cantilena sulla vita e la morte.
Al di là della fedeltà al testo originale, c’è ovviamente anche un altro livello di lettura degli adattamenti di Kurosawa e Kurzel che essendo appunto adattamenti, recano in seno lo stilema autoriale del regista che li ha diretti e hanno una loro entità che prescinde il testo di riferimento.
Premesso infatti che lo stretto paragone con il dramma elisabettiano ridurrebbe di significato i due film il cui valore prescinde il riferimento letterario, è interessante notare come gli sguardi di due registi polarmente opposti in senso culturale offrano due interpretazioni davvero differenti di un dramma che, pur essendo collocato cronologicamente lontano da noi, resta sempre di grande attualità.
Vedi anche: Macbeth – Una visione comparata.

About Ivana Mennella
Partenopea di nascita e spirito, ma milanese di adozione, si trasferisce all’ombra della bela Madunina nel 2007. A 10 anni voleva fare la regista. A 20 la traduttrice per sottotitolaggio e adattamento dialoghi. A 30 la sceneggiatrice. A 40 sa con certezza una sola cosa ossia che il cinema è ancora e resterà sempre la sua più grande passione.