MOMMY

mommy5Regia: Xavier Dolan; Interpreti: Anne Dorval, Suzanne Clément, Antoine Olivier Pilon; Produzione: Francia, Canada; Anno: 2014; Durata:140’

Diane (Anne Dorval, così realistica nella sua recitazione da non farcela percepire), madre amorevole, kitsch, quasi 50enne, vedova, al limite dell’indigenza, e Steve (Antoine Olivier Pilon), suo figlio, adolescente problematico, reduce da una casa di recupero per minori, eccessivo sia nella rabbia che nella tenerezza, sono uniti tra sconforto e speranza nella lotta quotidiana alle continue difficoltà che si abbattono su di loro. In questo asfissiante schema bipartito da conclamato rapporto edipico, si innesta un terzo personaggio, la vicina di casa Kyla (Suzanne Clément).

Tutti i personaggi principali sono alle prese con un’acuta difficoltà di vivere e nell’incontro/legame con l’altro, perenne o transitorio ma non per questo meno intenso, riescono per lo meno a tentare di passare dal sopravvivere al vivere, trasformando la forza distruttrice del malessere in reazione vitale salvifica.
Mommy (Premio della Giuria all’ultimo Festival del Cinema di Cannes) è il quarto lungometraggio del 25enne regista canadese Xavier Dolan, qui anche autore della sceneggiatura e curatore dei costumi, del montaggio e produttore.
Sebbene il tema del “cuore di Mommy” sia stato iper-rappresentato, l’opera di Dolan risulta originale per la sua particolare cifra narrativa che coinvolge, colpisce, emoziona. Insomma, uno di quei casi in cui ti ritrovi a pensare che un film non si può raccontare, va semplicemente visto!

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È singolare il modo in cui l’autore impieghi tutti gli elementi del linguaggio cinematografico (inquadrature, colori, riprese, dialoghi, musica), convertendoli in un “pop-mood” eccessivo, saturante, spesso anche inaspettato per lo spettatore che, da subito travolto, viene sradicato dalla sua visione del mondo per essere irresistibilmente immerso in quella creata nel film.
Rispetto alle inquadrature colpisce il formato 4:3 dello schermo (più stretto dell’ordinario, con due fasce nere ai lati), più alto che largo, claustrofobico, dove manca la profondità di campo e i personaggi sono ripresi singolarmente, al massimo in due (non c’è fisicamente spazio per altro), efficace rappresentazione visiva di quanto essi siano schiacciati dai doveri, dalle difficoltà, quasi senza aria, senza spazio di manovra. Ma  quando il cuore si apre alla speranza e la vita diventa più lieve, quando si inizia a percepire la probabilità che si avveri il sogno di un’ esistenza solo un po’ meno dura,  ecco che anche lo schermo si allarga fino al suo formato più ampio e respira, sì lo schermo respira!
La fotografia viene impiegata in tutte le sue sfaccettature: sfumato, controluce, piena luce con colori evidenziati o virati (giallo ocra, blu elettrico). Altrettanto vari i movimenti (ralenti, dolly) della macchina da presa che spesso parla al posto delle parole, e se non tutto viene detto, di certo tutto viene visto.

Il legame d’acciaio tra Diane e Steve, che alternativamente si sorreggono e/o affossano a vicenda («Ma noi ci amiamo ancora, vero?» «Certo! È la cosa che ci riesce meglio!»), viene rimarcato dai testi dei brani musicali (proposti per intero) impiegati come ulteriore voce dei personaggi in scena, quasi videoclip che, inseriti nella struttura narrativa, fanno quasi pensare ad un moderno musical: da Wonderwall degli Oasis («Maybe you are the one who’ll save me»), a White flag di Dido («No white flag upon my door I’m in love and always be»), a Vivo per lei di Bocelli («Vivo per lei da quando sai la prima volta l’ho incontrata, non mi ricordo come ma m’è entrata dentro e c’è restata»).

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In Mommy tutti questi elementi sono mixati, intrecciati, montati in modo armonioso e cacofonico al tempo stesso, con grande sapienza e maestria, nonostante Xavier Dolan abbia solo 25 anni (giova ricordarlo), non abbia mai frequentato alcuna scuola di cinema, non abbia mai visto un film di Fassbinder o Cassavetes (al quale viene spesso paragonato), non annoveri tra le sue fonti di ispirazione Godard, ma piuttosto Jane Campion, Wong Kar-wai e soprattutto Peter Jackson de Il signore degli anelli e James Cameron di Titanic (si parla di un vero e proprio “caso Dolan”).
Quel che è certo, tralasciando definizioni e casistiche, è che Mommy dilaga e crea emozione vera, portando luce nell’oscurità della disperazione, ribaltandola instancabilmente, perché, come afferma lo stesso autore, «Siamo in un mondo senza speranza, ma pieno di persone che sperano».

 Voto: 8

 

About Alessandra Quagliarella

Di Bari dove ha frequentato il liceo classico Socrate e si è laurea in Giurisprudenza. Da sempre appassionata di cinema. Nel 2013 ha frequentato il Seminario residenziale di Critica Cinematografica organizzato dalla rivista di settore I duellanti nell'ambito del Bobbio Film Festival ideato e curato dal maestro Marco Bellocchio, nonché il corso di Storia del Cinema presso l'Uniba - Università di Bari a.a.2012/2013. Ideatrice della rubrica "Cinema e Psiche" su Cinemagazzino, rubrica che si propone una riflessione sulle vicende dell’animo umano tramite l’analisi del linguaggio espressivo di quel cinema che se n’è occupato. Nel 2015-2016 ha curato e condotto due trasmissioni sul cinema: 'Sold Out Cinema' e 'Lanterna Magica, 'entrambe su Controradio Bari. Nel 2023 ha curato la rassegna cinematografica collegata al Corso diretto dalla prof.a Francesca Romana Recchia Luciani per le Competenze trasversali con oggetto la Violenza di genere dell'Università di Bari. Nel luglio 2023 ha collaborato alla rassegna 'Under Pressure, azioni e reazioni alla competizione' e nell'ottobre 2023 ha partecipato all'evento 'Taci, anzi parla. Il punto sulla violenza di genere' con un intervento sul film 'Una donna promettente', entrambi organizzati dall'associazione La Giusta Causa.

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