Titolo:Julieta; Regia: Pedro Almodóvar; Interpreti: Emma Suarez, Adriana Ugarde, Blanca Pares, Daniel Grao, Michelle Jenner, Rossy De Palma; Anno: 2016; Origine: Spagna; Durata:99’
La storia di Julieta, dall’incontro con Xoan, alla nascita della figlia Antia, tra senso di colpa, abbandoni, attese e ritorni.
Dopo la parentesi (quasi senza senso) de Gli amanti passeggeri, il maestro Pedro Almodóvar torna con una storia intima e potente al tempo stesso, ispirata a tre racconti della scrittrice canadese Alice Munro.
Julieta, presentato all’ultimo Festival del Cinema di Cannes (dove stranamente non ha conseguito alcun premio), inizia con un drappo rosso che si apre come la tenda di un palcoscenico. In realtà si tratta delle vestaglia della protagonista che si dischiude sul suo cuore: è, infatti, una storia di cuore quella che il regista si appresta a raccontare con molto pudore.
Julieta (Emma Suarez) è una donna di 50 anni bella e sicura di sé; sta per trasferirsi in Portogallo con il suo fidanzato, lasciando per sempre Madrid, e sembra molto determinata a farlo, ma cambia proposito dopo l’incontro casuale con Beatriz, una ragazza molto amica di sua figlia Antia che non vede da ben 12 anni.
Da questo momento Julieta si ritira dalla vita e si immerge nell’attesa di Antia, trasferendosi nella casa in cui avevano vissuto insieme, dove, rispondendo ad un impulso interiore, inizia a scrivere il racconto della sua vita cercando così sia di colmare (almeno in parte) l’assenza, sia di fornire a sé e agli altri una spiegazione/giustificazione degli eventi tragici, sebbene casuali, dei quali si sente responsabile.
Con un flashback che quasi non si avverte per quanto armoniosamente è inserito nel racconto filmico, veniamo trasportati dalla voce off della protagonista lì dove tutto ebbe inizio: un viaggio in treno durante il quale Julieta 30enne (una intensa Adriana Ugarde dallo sguardo stupito e penetrante), giovane professoressa di lettere antiche, conosce Xoan, colui che sarà il padre di sua figlia, e un altro uomo misterioso, entrambi collegati per gli effetti che avranno sulla sua psiche e sugli eventi futuri.
Il flashback, che comprende tutti i momenti più felici della vita di Julieta, si chiude con un evento tragico, inizio della seconda parte del racconto imperniata sul dolore e l’incredulità della perdita, sul vuoto, sulla sospensione dell’attesa, sul senso di colpa, fino ad un evento che riporta luce e speranza.
Ancora una volta il momento di passaggio è delicatamente narrato dal Maestro: un asciugamano che, adagiato sui capelli bagnati di Julieta giovane, sollevandosi scopre il volto di Julieta matura.
La bellezza del film di Almodóvar, oltre che nella storia e nella interpretazione intensa e sentita delle protagoniste, è rappresentata dal modo scelto per raccontare.
L’intimità dei sentimenti narrati predilige gli interni, in questo caso tre case corrispondenti ai tre periodi principali della vita di Julieta: la casa vicina al mare in cui ha vissuto con Xoan; quella a Madrid, caratterizzata da una carta da parati barocca e colorata, condivisa con Antia; la terza essenziale e fredda, successiva alla separazione dalla figlia.
Inoltre il regista predilige una cifra essenziale, minimale, con parole scelte e dialoghi calibratissimi, quasi ad indicare che il vuoto di una perdita e il senso di colpa che sempre l’accompagna (ci sentiamo sempre responsabili di tutto nel nostro delirio di onnipotenza) sono difficilmente traducibili: si possono rendere solo con una narrazione a sottrarre.
Ecco quindi che Almodóvar abbandona la sua tipica narrazione barocca, kitsch e volutamente caricata, incluso il tourbillon di personaggi colorati, per entrare in una dimensione intima, personale, dove tutto è calibrato, dalla composizione delle inquadrature, alle parole e agli sguardi, e dove spesso, specie nel racconto del passato, sembra di essere immersi nella cifra di un sogno, forse perché quando si attende contro ogni razionalità la nostra vita è sospesa, come in un sogno, in attesa dell’unico gesto miracoloso che ci riporti in vita: il ritorno di quanto si crede perso.

About Alessandra Quagliarella
Di Bari dove ha frequentato il liceo classico Socrate e si è laurea in Giurisprudenza. Da sempre appassionata di cinema. Nel 2013 ha frequentato il Seminario residenziale di Critica Cinematografica organizzato dalla rivista di settore I duellanti nell'ambito del Bobbio Film Festival ideato e curato dal maestro Marco Bellocchio, nonché il corso di Storia del Cinema presso l'Uniba - Università di Bari a.a.2012/2013. Ideatrice della rubrica "Cinema e Psiche" su Cinemagazzino, rubrica che si propone una riflessione sulle vicende dell’animo umano tramite l’analisi del linguaggio espressivo di quel cinema che se n’è occupato. Nel 2015-2016 ha curato e condotto una trasmissione sul cinema "Sold Out Cinema" su Controradio Bari.