Regia: Carlo Mazzacurati; Interpreti: Isabella Ragonese, Valerio Mastrandrea, Giuseppe Battiston; Anno: 2013; Origine: Italia; Durata: 90 min.
Bruna (Isabella Ragonese) è un’estetista sfortunata e un po’ pasticciona, che non riesce ad arrivare a fine mese. Un giorno, mentre si trova in carcere per fare la manicure alla signora Norma Pecche (Katia Ricciarelli), madre di un noto bandito, la donna si sente male e in punto di morte confessa alla giovane di aver nascosto un tesoro in una delle sedie del salotto della sua villa. Con l’aiuto di Dino (Valerio Mastrandrea) , tatuatore che lavora di fronte al suo salone, scopre che le otto sedie sono state vendute ad un’asta. Inizia così una lunga e difficile ricerca che porterà i due protagonisti a scoprire la vera felicità.
Nastro d’Argento 2014 e ultima opera del grande regista Carlo Mazzacurati, venuto a mancare il 22 gennaio di quest’anno, questa sedia sembra aver fatto la felicità di molti, ma non la mia.
Ambientato nel Nord Est, La sedia delle felicità è una commedia rocambolesca, una “favola moderna” dalla morale scontata, ma pur sempre piacevole, che alla fine riesce a strappare qualche sorriso e molta perplessità.
Se normalmente questo tipo di film invita all’eccesso, sia contenutistico che visivo, troppo spesso nel corso dell’ora e trenta minuti circa, ci si ritrova stanchi a controllare l’orologio, con la sensazione del “troppo che stroppia”.
Le gag continue giocano sulle sfortunate vicende dei due protagonisti, mescolate ai luoghi comuni che caratterizzano il Veneto e i suoi abitanti. Ma se inizialmente fanno sorridere, finiscono per diventare ripetitive e noiose e poco importa se il messaggio che vuoi trasmettere ha un certo valore, lo sbadiglio è dietro l’angolo, spietato.
Anche l’elemento favolistico, con tanto di finale dal sapore onirico, non è nuovo per il cinema italiano, che vanta notevoli e migliori predecessori al film di Mazzacurati.
Isabella Ragonese e Valerio Mastrandrea offrono un’interpretazione efficace, rendendo Bruna e Dino due protagonisti gradevoli ed equilibrati. Dove la prima è credibile e accattivante, il secondo alterna momenti “sopra le righe” ad altri più raccolti, trasmettendo uno spessore e una complessità maggiori di quello che ci si aspetterebbe.
Non si può dire altrettanto di Padre Weiner, interpretato da un Giuseppe Battiston comunque sempre bravo, che sfrutta al massimo la sua verve comica con un personaggio che richiama lo stereotipo del “prete corrotto”. Se all’inizio ci fa ridere (e tanto), nel proseguire della storia, diventa eccessivamente caricaturale, al punto da risultare fastidioso.
La scelta più interessante operata dal regista, è quella di mostrarci i personaggi e le loro disavventure attraverso un taglio che ricorda quello dei western all’italiana.
Visibile soprattutto nella sequenza del cimitero, conferisce alle immagini un tono particolare e “selvaggio”, creando un parallelo tra quell’universo e il territorio raccontato nel film, dove a sopravvivere sono sempre i più furbi e i più forti.
L’interessante operazione è purtroppo appesantita della presenza non sempre funzionale e ben dosata di una colonna sonora “a singhiozzo”, che finisce per alterare la fluidità del film, risultando a tratti quasi sgradevole.
Mazzacurati era tra i registi italiani contemporanei, uno dei più interessanti. In passato, film come La giusta distanza, hanno messo in luce la sua notevole capacità di analizzare a fondo l’ambiente e i personaggi che lo abitano, a partire da intrecci e situazioni particolari e spesso non facili.
Ne La sedia della felicità, a livello di scrittura, si fatica a ritrovare quella qualità di indagine e quegli elementi che tanto potevano essere apprezzati nei suoi film precedenti. Anche se l’intento di creare una “fiabacommedia”, con i suoi eccessi e la poca verosimiglianza, era chiaro e fin dall’inizio, era comunque lecito aspettarsi qualcosa di più interessante.
VOTO: 5/10
di Susanna Norbiato