Titolo originale: Tokyo Fiancée; Regia Stefan Liberski. Interpreti: Pauline Etienne, Taichi Inoue, Julie LeBreton, Alice de Lencquesaing; Origine: Belgio, Francia, Canada; Anno: 2014; Durata: 100′
Amélie è belga ma è nata in Giappone dove ha vissuto i primissimi anni della sua vita. Dopo molti anni decide di ritornare per provare a vivere lì, in quella terra a cui sente di appartenere in qualche modo. Appena arrivata impartisce lezioni private di francese e conosce Rinri. Dal bizzarro incrocio tra due culture così diverse nascerà una particolare relazione amorosa.
Stefan Liberski traspone, con qualche licenza registica significativa nel finale, il bel libro di Amélie Nothomb “Ni d’Eve ni d’Adam”, autobiografia della scrittrice durante il suo anno di permanenza a Tokyo, la città dove è nata e cresciuta fino ai cinque anni.
Non è la prima volta che un romanzo della Nothomb diventa film – era già successo con Stupeur et tremblements di Alain Corneau -, mentre per il regista questo è il primo tentativo di adattamento cinematografico di un romanzo.
La trasposizione da libro a film richiede sempre una “traduzione” dal linguaggio letterario a quello cinematografico, che ha una natura differente. Ogni atto del tradurre nasconde sempre un sotterraneo tradire e, infatti, la pellicola non aderisce perfettamente al testo per una consapevole scelta registica che preferisce spostare la storia, accaduta negli anni Ottanta, ai giorni nostri. Il finale è totalmente stravolto, eppure tutto il resto del film è pregno della stessa atmosfera incantata del romanzo.
Sarà perché il regista è amico della Nothomb, sarà che ama il Giappone come lei, ma l’adattamento del suo libro è piaciuto molto anche alla scrittrice.
Questo terzo lungometraggio di Liberski, che è stato presentato al Festival Rendez Vous 2015, è stato paragonato al Favoloso mondo di Amélie, probabilmente per la comicità buffa e per l’aspetto un po’ naif della protagonista che ricorda la sua omonima del film di Jean-Pierre Jeunet, ma in realtà l’ambientazione giapponese conferisce al film un fascino differente ed esotico che ben lo contraddistingue dall’opera cinematografica di Jeunet.
La narrazione è intervallata da brevi e divertenti siparietti, esternazione dei pensieri della giovane belga, che rendono leggera e gradevole questa commedia romantica.
I colori degli abiti della stravagante Amélie immersa nel paesaggio nipponico disegnano i contorni di una sorta di viaggio di formazione di una ventenne sognatrice ma allo stesso tempo determinata nell’inseguire i suoi sogni.
La realtà giapponese è piu’ ostica di quanto si aspettasse, si scontra con la freddezza della madre di Rinri che storce il naso dinnanzi ai costumi poco orientali di Amélie, con l’ostilità misogina dei colleghi della Yumimoto, con l’alienante educazione degli amici di Rinri che a cena restano in religioso silenzio per ascoltare la loro ospite.
Ma c’è anche la bellezza mozzafiato del Fuji, dei fumosi onsen, e gli strambi divertimenti giapponesi.
Lo sguardo svagato di una splendida Pauline Etienne (già apprezzata in La Religieuse, diretta da Guillaume Nicloux) calza alla perfezione il personaggio, interpreta lo stupore, la joie de vivre e la curiosità verso una cultura che è agli antipodi di quella occidentale.
Il gap culturale è innanzitutto linguistico, Rinri inciampa in buffi misunderstanding con i suoi goffi tentativi iniziali di parlare francese. Nella scena in cui presenta Amélie ai suoi amici la definisce “Ma Maîtresse” intendendo “la mia insegnante” ma in francese l’espressione significa “la mia padrona” con evidenti esiti imbarazzanti.
Spoiler!
Nel romanzo della Nothomb il finale è legato proprio a un importante misunderstanding che farà intendere a Rinri che Amélie acconsente finalmente a sposarlo, mentre in realtà lei gli sta rispondendo per l’ennesima volta che non si sente pronta.
Lascerà il Giappone improvvisamente proprio per questo, perché preferisce scappare piuttosto che chiarire il malinteso con Rinri che incarna in tutto l’ospitalità e la gentilezza di un popolo che lei ama e che non si sente di deludere solo perché ancora non ha capito cosa vuole dalla vita.
“D’altronde, c’è sempre qualcosa da cui fuggire. Non fosse altro che da sé stessi.” (cit. “Né di Eva né di Adamo” di A. Nothomb; ed. Voland)

About Ivana Mennella
Partenopea di nascita e spirito, ma milanese di adozione, si trasferisce all’ombra della bela Madunina nel 2007. A 10 anni voleva fare la regista. A 20 la traduttrice per sottotitolaggio e adattamento dialoghi. A 30 la sceneggiatrice. A 40 sa con certezza una sola cosa ossia che il cinema è ancora e resterà sempre la sua più grande passione.