MFF 2014 – BRIDES/ LOS ANGELES

BRIDES
(Concorso Lungometraggi)

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Regia: Tinatin Kajrishvili; Interpreti: Sergo Buiglishvili, Anuka Grigolia, Nita Kalichava; Origine: Georgia; Anno: 2014; Durata: 94’

Tra «tagli al budget, ma non all’entusiasmo del team» si apre l’edizione 2014 del Milano Film Festival.
Ad inaugurarla è un film georgiano, Brides di Tinatin Kajrishvili.
La storia è ambientata in Georgia, ma non viene specificato il periodo in cui si svolge. La scelta di un luogo atemporale, come ha spiegato la regista alla fine della proiezione, vorrebbe infondere negli spettatori il sentimento di un’attesa senza fine, senza speranza.
Obbiettivo perfettamente centrato, in quanto sono ben percepibili la sofferenza, il sacrificio, l’ansia di una coppia che si è sposata in carcere, perché  il marito deve scontare una pena di 10 anni per un non chiaro reato.
Il sentimento di ansia perdura fino alla fine, quando il suono di un’ambulanza che irrompe nel carcere poco dopo l’incontro fra gli sposi, getta nello sconforto sia Nutsa che le altre donne che sono con lei, anche loro spose tristi, unite dallo stesso ineluttabile destino.

Il cinema georgiano produce solitamente poche ma interessanti pellicole, (tra cui ricordiamo In Bloom che ha vinto il Premio del pubblico all’edizione 2013 del MFF), eppure tra queste non sembra rientrare Brides: il film ha un intreccio narrativo banale e macchinoso, immerso nella plumbea atmosfera georgiana, mentre la messa in scena richiama i fratelli Dardenne, senza però il mordente dei due registi belgi.
Si riscatta, tuttavia, con la bravura degli attori (soprattutto per l’interpretazione di Nutsa, la protagonista) e con la forza delle immagini.

(Ivana Mennella Daniele Benfenati)

VOTO: 6

 

LOS ANGELES
(Hecho en Mexico)

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Regia: Damian John Harper; Interpreti: Mateo Bautista Matias, Marcos Rodriguez Ruiz, Lidia Garcia,; Origine: Mexico; Anno: 2014; Durata: 97′

Film della sezione Hecho en Mexico del MFF 2014, totalmente dedicata al cinema messicano, Los Angeles è in realtà  frutto della sinergia tra diverse nazionalità: un regista americano (Damian John Harper) un produttore tedesco e l’ambientazione, appunto, messicana.
Il Messico, come spiega alla presentazione del film Andrea Lavagnini (curatore della sezione) insieme al giovane produttore, è una nazione particolarmente aperta alle produzioni straniere interessate a girare film che parlino di essa.
Già dai titoli di testa veniamo catapultati in un mondo ostile e violento, il suono che precede l’immagine è quello di pugni, calci e la loro grottesca enumerazione, «un, dos, tres…».
Il primo fotogramma è quello del volto insanguinato di Mateo, di cui seguiremo una sorta di macabro percorso di formazione per diventare membro di una gang, unica apparente soluzione per restare a galla in quel marasma sociale che sembra essere la comunità zapoteca di cui fa parte.
L’utilizzo quasi costante del dialetto zapoteco indurisce maggiormente il parlato, rendendo le parole quasi onomatopee delle azioni che richiamano. La scelta registica di attori non professionisti dà al film un’aura quasi docuemntaristica.
Il mondo contadino con i suoi valori legati alla terra, al duro lavoro, alla religione, si fonde in una strana ‘mezcla‘ con il profano dei riti sciamanici, delle pistole, dei furti, delle bestemmie in una zona franca in cui sembra che l’unico modo di vivere sia sopravvivere.

(Ivana Mennella)

VOTO: 7

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