Venezia 72 – RABIN, THE LAST DAY/WEDNESDAY, MAY 9/TEMPÊTE

RABIN, THE LAST DAY
(in Concorso)

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Regia: Amos Gitai; Interpreti: Ischac Hiskiya, Pini Mitelman, Michael Warshaviak, Einat Weizman, Rotem Keinan, Yogev Yefet, Yael Abecassis; Origine: Israele, Francia; Anno: 2015; Durata: 153′

Accurata docufiction che ruota intorno all’attentato a Yitzhak Rabin, Primo Ministro israeliano pericolosamente vicino a posizioni di apertura verso la Palestina e perciò assassinato da un estremista di destra, fanatico e indottrinato. Lo spettatore non al corrente dei fatti rischia di sentirsi disorientato dalla profusione iniziale di informazioni, interviste, estratti da telegiornali dell’epoca, ma il regista colma progressivamente i potenziali vuoti privilegiando via via la ricostruzione con attori, che segue diversi nuclei di personaggi, dalla commissione incaricata delle indagini alla comunità istigatrice dell’attentato. Gitai non incensa Rabin, per quanto traspaia un’evidente simpatia, ma si concentra sulle contraddizioni di uno Stato che non si preoccupa delle frange religiose oltranziste (in prima linea nell’usurpazione delle terre palestinesi) e, avendo soltanto a cuore la propria difesa e la fama della sua ineccepibilità, ostacola le stesse indagini non appena illuminano trascorsi di disposizioni internazionali da lui calpestate, limitandole alla sola risoluzione della falla di sicurezza che rese possibile l’omicidio. Il vero verdetto verrà pronunciato nell’intimità di uno studio, alla presenza di nessuno. Un autentico, affilato Gitai, come da tradizione.

 

WEDNESDAY, MAY 9
(Orizzonti)

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Regia: Vahid Jalilvand; Interpreti: Niki Karimi, Amir Aghaee, Shahrokh Forootanian, Vahid Jalilvand; Origine: Iran; Anno: 2015; Durata: 102′

Un uomo pubblica un annuncio su un giornale in cui dichiara che regalerà 10.000 dollari a una persona bisognosa. Delle tante radunatesi per ricevere i soldi, il film racconta la storia di due donne.
Si potrà anche essere dei funamboli della cinepresa, visionari della recitazione, feticisti della moviola, ma se una sceneggiatura non sta in piedi (e non ci si chiama Brian De Palma) perché spendere soldi, energie e tempo (proprio e di chi va al cinema) per realizzarla? Il regista si dimostra un direttore abbastanza abile (intensa la scena della rissa), gli attori offrono interpretazioni adeguatamente autentiche, il soggetto si presta alla riflessione su una potenziale infinità di piaghe che attanagliano l’Iran contemporaneo con l’espediente dell’inserzione di beneficenza, ma le due storie di donne raccontate (se si esclude quella dell’improvvisato filantropo, protagonista e pretesto) sono del tutto sbilanciate una rispetto all’altra e il conflitto che si ingenera dal loro incontro viene risolto in una scena finale fallimentare in cui una delle due storie improvvisamente e immotivatamente viene troncata. Fatica sprecata.

 

TEMPÊTE
(Orizzonti)

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Regia: Samuel Collardey; Interpreti: Dominique Leborne, Mailys Leborne, Mattéo Leborne; Origine: Francia; Anno: 2015; Durata: 89′

Altro film dall’impianto solido in tutto fuorché nelle fondamenta – la sceneggiatura -, Tempête ha un finale su cui si può, al contrario di quello di Wednesday, May 9, quasi chiudere un occhio, trattandosi di una storia vera, peraltro interpretata (bene) dai reali protagonisti. È infatti negli sbrigativi e assolutori ultimi minuti che il film demolisce una costruzione drammaturgica altrimenti ben congegnata, classica nella sua struttura triadica e servita da un’ottima messinscena, soprattutto a livello fotografico. Non per niente il regista nasce come direttore dela fotografia e sapientemente alterna tonalità fredde-marine a calde-terrestri per marcare la frattura interiore del protagonista, combattuto tra la vocazione per la pesca e quella paterna, tonalità (e vocazioni) che si congiungono nell’inquadratura (lieto)finale di un romantico tramonto al largo. Più che tempesta, una bomba d’acqua (di rose).

About Carlo Gandolfi

Colui che scruta, cromaveglie di luce, onirosuoni.

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