MISTRESS AMERICA

Titolo: Mistress America; Regia: Noah Baumbach; Interpreti: Greta Gerwig, Lola Kirke, Matthew Shear, Jasmine Cephas ; Origine: USA; Anno: 2015;  Durata: 84′

Tracy è una timida matricola trasferitasi da poco a New York per studiare. L’incontro con la sua futura e brillante sorellastra, Brooke, la introduce alla vita mondana di Manhattan, travolgendone l’esistenza.

Noah Baumbach ritorna sul grande schermo insieme alla sua musa e compagna di vita, Greta Gerwig, in una frizzante commedia dal ritmo sincopato.
Chi ha visto e amato Francis Ha, dello stesso regista, e si aspetta un’ingenua Greta Gerwig che corre per le strade di New York inseguendo affannosamente la felicità sulle note di qualche canzone famosa, rimarrà in parte deluso. Il volto simpatico della protagonista, l’indovinata colonna sonora e il fascino della Grande Mela sono gli ingredienti anche di questa commedia, ma il risultato è differente.

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Greta Gerwig veste i panni di Brooke, spensierata trentenne dalla vita glamour divisa tra i concerti degli amici, l’interior design e l’effimero sogno di aprire un ristorante con un pseudo fidanzato greco che vive all’estero. Una Carrie Bradshaw di Sex and the City, ma molto meno convincente.
Il montaggio veloce di brevi sequenze della quotidianità di Brooke ci fa avvertire da subito poca spontaneità, una nota stonata, una crepa che incrina l’immagine patinata che vuol dare di sé.
Lo percepisce anche la diciottenne Tracy, aspirante scrittrice, che ne è ammaliata tanto da renderla protagonista del suo racconto. La segue nelle sue vicissitudini fino allo svelamento finale della fragilità interiore della sua ispiratrice che in realtà non ha un vero lavoro, si arrabatta come può e per riuscire a coronare il suo sogno deve chiedere i soldi al suo ex compagno che ora vive insieme alla sua ex amica (e ladra di idee) in una splendida casa con i suoi ex gatti.

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I dialoghi concitati sono quasi un’emorragia di parole che si declina spesso in monologhi auto referenziati puntellati da frasi che sembrano slogan: “Non c’è niente che non sappia di me perciò non vado in terapia”.
All’inizio si fatica a seguire la logorroica Brooke perché si viene travolti dal suo inarrestabile stream of consciousness, poi il ritmo prosegue a più voci prendendo quasi la forma di una pièce teatrale e il quadro è più chiaro.
Brooke è l’emblema delle potenzialità inespresse della nuova generazione di trentenni, ma forse un po’ di tutti noi perché non è facile avere il coraggio di essere se stessi sempre.

About Ivana Mennella

Partenopea di nascita e spirito, ma milanese di adozione, si trasferisce all’ombra della bela Madunina nel 2007. A 10 anni voleva fare la regista. A 20 la traduttrice per sottotitolaggio e adattamento dialoghi. A 30 la sceneggiatrice. A 40 sa con certezza una sola cosa ossia che il cinema è ancora e resterà sempre la sua più grande passione.

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