Titolo originale: La loi du marché; Regia: Stéphane Brizé; Interpreti: Vincent Lindon, Karine de Mirbeck, Matthieu Schaller, Yves Ory, Xavier Mathieu Anno: 2015; Origine: Francia; Durata: 92′
Thierry, uomo non più giovane, vive l’umiliante situazione della disoccupazione. Con sforzi e sacrifici riesce ad approdare alla professione di vigilante in un ipermercato, che gli dà l’opportunità di scorgere una fetta di amara realtà, altrimenti invisibile, in cui non può non riconoscersi.
La legge del mercato è un film di denuncia, dal respiro corto. È una storia semplice, dall’orizzonte ristretto, eppure dall’ampio messaggio. Propone allo spettatore un piccolo squarcio di vita di un uomo dignitoso e dalla solida morale, di 51 anni, che dopo 25 di onesto e coscienzioso lavoro si trova d’un tratto nel baratro della disoccupazione, dopo che la sua azienda si è trasferita in un altro paese e ha tagliato un cospicuo numero di posti. La piccola odissea a cui è costretto Thierry, questo il nome del protagonista, è un’occasione per osservare dal di fuori una realtà in cui noi per primi siamo immersi, ovvero le leggi spietate della società e in definitiva dell’economia e del mondo del lavoro così come imperano oggi. Leggi per le quali le persone vedono perdere la propria identità, usate come pedine dai ‘superiori’, in un vero gioco al massacro. Thierry mostra di conoscere i funzionamenti del meccanismo e questo è a malapena sufficiente per evitargli il naufragio.
Prima indotto a seguire un corso di formazione che non gli facilita per nulla l’ingresso nel mondo del lavoro, è poi costretto ad un estenuante iter di prove e situazioni fino all’approdo ad un lavoro in un ipermercato come vigilante che non lo mortifica ma, anzi, in fin dei conti mette in luce le sue qualità. Eppure, non si tratta di un ruolo semplice, in quanto i dirigenti tendono a voler ‘incastrare’ non solo clienti in condizioni economiche disagiate, ma anche impiegati dello stesso ipermercato costretti a fare piccoli strappi alle regole senza per questo essere rei di qualche effettiva infrazione. Insomma, non dei veri e propri alter ego di Thierry, ma persone nelle quali Thierry può riconoscersi e per i quali provare un sentimento di solidarietà e di umana compassione. Il film sembra essere un incitamento al Bene, un’esaltazione dell’aspetto umano che oggi tende più che mai ad essere oscurato dalla cupidigia e dal cinico dar importanza alla produttività frenetica e al profitto. Persino la figura del figlio disabile di Thierry, motivato a intraprendere un percorso di studi scientifici tutt’altro che semplice, concorre a corroborare questa idea della Volontà e della Perseveranza come potenti strumenti del Bene. Eppure, si tratta di un film fondamentalmente amaro e pessimista.
Forse la più importante caratteristica di Thierry, per come sembra suggerirci il regista Stéphane Brizé (Je ne suis pas là pour etre aimé), è la modulazione continua fra solidità e fragilità. Il personaggio protagonista è un uomo esperto ed inesperto, capace ed incapace, consapevole e ignaro, forte e debole, furbo ed ingenuo. La sua identità sta proprio sul crinale fra queste due realtà. E probabilmente è questo il suo aspetto più magnetizzante. Sensibile a questa sottile ambivalenza – persino capace di infondere luminosità in una storia alquanto ‘autunnale’ nella tinta – l’ottimo Vincent Lindon (La crise; Pour elle) ha ricevuto il premio della miglior interpretazione maschile a Cannes.
Lo stile documentaristico di Eric Dumont (fotografia), se da un lato è funzionale a rafforzare il senso di denuncia del film, al contempo finisce per smorzare l’effetto estetico. La sceneggiatura dello stesso regista Brizé e di Olivier Gorce presenta in alcuni punti qualche debolezza. Ad esempio, poco decifrabili e un po’ fredde risultano le personalità degli individui ‘messi sotto torchio’ una volta che sono stati avvistati e colti in flagrante dalle telecamere di Thierry: in questi casi, Brizé (sia come regista che come sceneggiatore) pecca un po’ in approssimatività nel delineare il loro stato d’animo. Molti attori qui, d’altro canto, sono non professionisti: preme sottolineare come questi effettivamente nella loro vita svolgano le mansioni descritte fittiziamente nel film.
Altro neo riscontrabile, lo scarso ritmo impresso ad alcune scene, inutilmente diluite.

About Luca Mantovanelli
Saturnino, introverso, Luca Mantovanelli ha iniziato presto ad interessarsi di musica e la sua curiosità per l’aspetto creativo e per la psicoanalisi sfocia all’università con una tesi sulla regìa operistica con applicazione al Don Carlos di Verdi. Ma sono proprio le trame delle opere liriche, talvolta – secondo lui - un po’ dispersive e distanti dalla sensibilità moderna, a ricordare a Luca che nel suo passato alcune altre trame (come per esempio di Amadeus e di Film blu) gli avevano cambiato un po’ la vita. Ecco allora una nuova presa di contatto da parte sua con la ‘settima arte’ (e Bobbio ha rappresentato senz’altro per lui un’insolita quanto stimolante esperienza). I suoi incontri con il cinema (di ieri e di oggi) sono stati sempre meno casuali e sempre più dettati dalla curiosità. Luca ritiene che i prodotti artistici migliori (che riscontrino un successo di botteghino o meno) siano quelli che sentiamo riflettere pezzi del nostro Io, e al tempo stesso in grado di indicarci o aprirci una nuova strada…perché è sempre indispensabile un quid di novità. L’introversione ha portato Luca a trovare nella scrittura il suo più congeniale e gratificante mezzo di espressione.