Cinema e Psiche – LE ONDE DEL DESTINO

le_onde_del_destino_2Titolo originale: Breaking the waves; Regia: Lars von Trier; Interpreti: Emily Watson, Stellan Skarsgard, Katrin Cartlidge, Adrian Rawlins, Sandra Voe, Jean-Marc Barr, Udo Kier; Origine: Danimarca; Anno: 1996; Durata: 158’

Quando, in seguito ad un incidente sul lavoro, Jan rimane paralizzato, spinge la moglie Bess ad avere esperienze sessuali con altri uomini chiedendole poi di condividerle con lui. La donna gli obbedisce in modo sofferto, iniziando a donarsi disperatamente a chiunque e arrivando alla propria degradazione…

Le onde del destino (1996), del geniale e controverso regista danese Lars von Trier, fa da spartiacque temporale, per quanto riguarda i suoi lungometraggi, fra Image of relief, L’elemento del crimine, Epidemic (siamo ancora negli anni ’80), e Dancer in the dark, Dogville, Melancholia, Nymphomaniac I e II (anni 2000).
Sappiamo della curiosità ‘antropologica’ di von Trier (dettata anche da ragioni di tipo biografico), dei travagli famigliari che ha vissuto (dove tra l’altro, l’elemento religioso ha avuto un peso rilevante), della sua depressione (di cui il pianeta Melancholia del film omonimo è un po’ l’emblema). Sappiamo che è un regista ‘maledetto’, viscerale, il cui sguardo è sempre vòlto al mistero dell’umano. E sappiamo che i suoi film funzionano come sorta di esperimenti da laboratorio: ad un determinato composto chimico (già di per sé instabile) viene aggiunta una sostanza estranea, al ché si osserva la reazione che ne deriva. Reazione che si produce sia tra i personaggi stessi della vicenda, sia tra gli spettatori.

Le onde del destino non fa eccezione. In questo caso, il punto di partenza è dato dal matrimonio fra un uomo ed una donna. Bess (Emily Watson) è una donna fragile, instabile, irrequieta. Jan (Stellan Skarsgard) è un uomo di mare, buono, dal carattere monolitico, col corpo di un vichingo. Verso di lui, Bess sviluppa una dipendenza affettiva patologica: egli rappresenta per lei il classico sostituto paterno.
La “sostanza estranea” che viene introdotta è il drammatico incidente sul lavoro che porta Jan alla paralisi e all’impotenza (nella tragedia classica antica, questa è la fase della “epitasi”, o “crisi”).
L’effetto che ne segue è che Jan spinge Bess a vivere l’eros con altri uomini, e al contempo le chiede di renderlo partecipe delle sue esperienze, una volta che esse saranno state consumate. In Jan il dramma scatena la perversione. (*spoiler*) Bess risponderà a questa richiesta morbosa cercando, anche se in modo sofferto, esperienze ovunque, con chiunque. Fino a degradarsi, fino ad assumere i connotati di una prostituta, fino a morire (similmente, forse, alla Lulu di Alban Berg), ferita a morte da due suoi ‘clienti’. Questa morte coinciderà di fatto con la guarigione di Jan.

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Per una certa psicologia, una delle pulsioni basiche della donna è quella di gratificare l’uomo, di farlo sentire importante e potente. Il desiderio più recondito è quello di esercitare questa funzione nei confronti di più uomini. Ella persegue con una tenacia straordinaria questo obiettivo, ma non sempre in modo diretto e scoperto. Può adoperare diverse modalità, che vanno dall’ambito più schiettamente carnale a quello più sublime e spirituale. Si pensi del resto ai tanti volti che Carl Gustav Jung attribuisce all’Anima (figura interiore della psiche dell’uomo). In caso d’incapacità o inefficacia nel donare e nel donarsi, la donna sprofonda nella depressione, o nell’isteria, o nella follia.
Bess è già folle all’inizio del film. Si divide fra Dio e l’uomo: fra spiritualità patologica (il dialogo con Dio è in realtà un dialogo schizoide tra sé e sé) e carnalità (lei, arrivata vergine al matrimonio, si dà con entusiasmo alla scoperta dei piaceri del corpo). Ma tutto cambia dopo l’incidente di Jan. Sentiamo che la storia procede seguendo un algido rigore geometrico (di carattere maschile), anche se di fatto si sprofonda in una liquida dimensione onirica (rappresentativa del femminile). Questo dialogo tra geometria maschile (la realtà ‘misurabile’) e liquidità femminile (il sogno, l’inconscio), sta alla base anche di un altro capolavoro cinematografico, Eyes Wide Shut, del 1999, di Stanley Kubrick.

Forse, ciò che più di tutto interessa a von Trier, è mettere in luce, quantizzandola, l’effettiva capacità di gratificare da parte di Bess. E l’autentica modalità che le è propria. La mette alla prova. Le pone appositamente l’ostacolo dell’infermità del marito. La sottopone all’estrema richiesta di donare il proprio corpo a qualsiasi uomo. Questa costrizione che le proviene da Jan, coincide in senso psicologico di fatto con la libera fantasia femminile di gratificare una pluralità di uomini. Sentiamo il peso caricato sulla schiena di Bess stroncare anche noi spettatori: avvertiamo il peso del ‘contronatura’.

btw-hospitalIl “teorema” di von Trier impone che a quegli uomini ridotti a corpi (‘casuali’ e insignificanti) che Bess incontra sulla propria strada, corrisponda il corpo del marito. Darsi a loro, dovrebbe coincidere con il darsi a Jan. E infatti razionalmente sappiamo che dietro a quella disperata compulsività erotica verso uomini a lei estranei, c’è il desiderio (unico e assoluto) di gratificare Jan. Ma, anziché provare piacere, Bess prova disgusto.
Si può notare come anche il personaggio di Alice Harford, nel succitato film di Kubrick, provi un profondo senso di repulsione dinnanzi al proprio desiderio inconscio di gratificare uomini che non siano il proprio marito. Nel caso di Eyes Wide Shut, il conflitto tra desiderio (la pulsione basica) e ‘autocensura’ da parte di Alice, contribuisce a creare quell’aura di mistero suggestivo e conturbante che pervade da cima a fondo il film di Kubrick. Nel caso de Le onde del destino, invece, l’interpretazione si sdoppia. Il disgusto provato da Bess è l’ovvia reazione alla richiesta del marito (richiesta che minaccia di deturpare la loro sacra unione), oppure quelle esperienze extraconiugali l’hanno portata a comprendere per la prima volta il sentimento autentico che prova nei confronti della sessualità? Seguendo questa seconda pista, non sarebbe difficile ipotizzare la messa in luce di un trauma subìto in età infantile o il prevaricare in modo improvviso nella sua mente di indottrinamenti sessuofobici del suo credo religioso.

Per comprendere il finale, bisogna ricordare che la chiesa del piccolo paese dove si svolge parte della vicenda, in Scozia, ha una caratteristica molto singolare: è priva delle campane. E occorre anche ricordare la questione del titolo del film: le onde non sono solo quelle del mare (ove lavora Jan); e neppure solo quelle ‘comunicative’ che idealmente legano Bess a Jan. Nella scena finale, come un deus ex machina, Bess morta risorge sotto forma di onde (sonore), un’allusione proprio a quell’elemento, le campane, che fino a quel momento era assente in Terra.
Il significato apotropaico della campana (che oggi si è sostanzialmente perso nella nostra civiltà occidentale) era in origine quello di scacciare i demoni, le ombre. Il regista sembra quasi volerci dire che era necessario che Bess morisse, per poter dare agli uomini (non solo a Jan) ciò che da viva non era riuscita a dare, e per gettarli in un’atmosfera di totale purificazione.

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Le considerazioni qui espresse sono in parte nostre, e in parte il frutto di un approfondimento sul film di von Trier svolto all’interno di un ciclo di serate rivolte al pubblico sul rapporto cinema-psicoanalisi, condotte dallo psicoterapeuta e filosofo Guido Savio, a Thiene (Vicenza).

About Luca Mantovanelli

Saturnino, introverso, Luca Mantovanelli ha iniziato presto ad interessarsi di musica e la sua curiosità per l’aspetto creativo e per la psicoanalisi sfocia all’università con una tesi sulla regìa operistica con applicazione al Don Carlos di Verdi. Ma sono proprio le trame delle opere liriche, talvolta – secondo lui - un po’ dispersive e distanti dalla sensibilità moderna, a ricordare a Luca che nel suo passato alcune altre trame (come per esempio di Amadeus e di Film blu) gli avevano cambiato un po’ la vita. Ecco allora una nuova presa di contatto da parte sua con la ‘settima arte’ (e Bobbio ha rappresentato senz’altro per lui un’insolita quanto stimolante esperienza). I suoi incontri con il cinema (di ieri e di oggi) sono stati sempre meno casuali e sempre più dettati dalla curiosità. Luca ritiene che i prodotti artistici migliori (che riscontrino un successo di botteghino o meno) siano quelli che sentiamo riflettere pezzi del nostro Io, e al tempo stesso in grado di indicarci o aprirci una nuova strada…perché è sempre indispensabile un quid di novità. L’introversione ha portato Luca a trovare nella scrittura il suo più congeniale e gratificante mezzo di espressione.

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