
I Caporali inglesi Schofield e Blake, in trincea nel Nord della Francia, vengono incaricati di recapitare una lettera alla brigata Devonshire, al fine di salvare la vita di 1600 commilitoni. Per fare questo devono attraversare la terra di nessuno e valicare la prima linea tedesca, da cui il nemico sembra essersi ritirato.
Sam Mendes, regista inglese che ha firmato due tra i migliori film della saga di James Bond (Skyfall,2012 e Specte,2015) giunge al suo 8° lungometraggio ispirandosi al racconto di guerra di suo nonno, Alfred Hubert Mendes, combattente sul fronte francese nella 1st Rifle Brigade. “Avevo circa 11 anni e da allora ci penso.”.
Il film è stato girato in un lungo, maestoso piano sequenza, così coinvolgente ed intarsiato con la musica, che sembra di poter trovarsi una granata sotto la poltrona da un momento all’altro.
“ Ho scelto questa modalità non solo per la veridicità della storia, ma anche per far capire la distanza che il protagonista dovrà affrontare”, afferma Mendes che si è avvalso della fotografia di Roger Deakins, premio Oscar per Blade Runner 2049.

Fin da subito il nemico sembra circondare anche lo spettatore, nelle danze tensive tra la camera e i Caporali, in una ripresa che è quasi un footage documentaristico e in piani sequenza esacerbati dalla musica che pare uscire da una buca d’orchestra posta sotto lo schermo.
L’esperienza di azione spettacolare è perpetrata da Mendes nei muri delle città in rovina, che diventano quinte mobili e labirintiche tra cui inseguire e scappare, con una teatralità accentuata da musiche orchestrali che spingono l’azione nelle fiamme dell’offensiva.
I linguaggi e i simboli sono duali come il caldo e il freddo: una fontana diventa un crocifisso a fusoliera nella controluce del fuoco, fiori di pietà riscattano il vilipendio dei corpi già uccisi, le liturgie cristiane si offrono a piene mani all’incertezza di chi cerca di sfuggire alla statistica.

Con una piccola astrazione del pensiero, non è difficile dissociare il film e le sue estetiche dalla guerra e immaginarlo ambientato in una catastrofe naturale o in un’invasione aliena (per alcuni ritmi ed estetiche ricorda la serie tv Chernobyl), ma forse la guerra è tutte queste cose. Perfino un film accademicamente perfetto come questo non può tralasciare il messaggio di un mondo in cui le guerre sono vinte solo dai sopravvissuti.
È dura per me dirlo, visto che sono una tifosa sfegatata di Parasite (presente parimenti nella sezione di miglior film per gli Oscar 2020), ma se 1917 vince, la statuetta la merita tutta.
Beatrice Zippo
Classe 1983, vive appieno a Capurso, in provincia di Bari. Oltre che una cinefila, appassionata di cinema d’autore e di biopic musicali, è un continuum tra i numeri, di cui si occupa di giorno, e le sinestesie delle arti tutte, dalle belle arti alla settima arte, passando per quella culinaria.