SPECIALE WES ANDERSON – BOTTLE ROCKET

wes copertina

bottle-rocket-posterRegia: Wes Anderson
Anno:1996
Origine: USA
Durata: 92′

 

 

 

Molto spesso si fa riferimento a Rushmore come alla prima opera di Wes Anderson.
In realtà, a precedere (di 2 anni) la pellicola che lo ha consacrato come promessa del cinema indipendente, c’è Bottle Rocket, un film che rappresentò – suo malgrado – un vero e proprio flop.
Evoluzione di un cortometraggio di 13 minuti (scritto dal regista con l’amico Owen Wilson ai tempi dell’università e fattosi notare grazie ad una proiezione al Sundance Film Festival nel ‘94), il film venne prodotto da James L.Brooks che finanziò il regista incoraggiandolo a rivedere ed ampliare la sceneggiatura.
«Non riuscimmo ad accedere a nessuno dei Festival a cui avevamo provato ad inviare il film. Era un disastro. La storia di Cenerentola era finita: quando, ad una proiezione per il pubblico, 85 persone uscirono dalla sala, capimmo che la carrozza si stava per trasformare nuovamente in una zucca.»
Eppure, la pellicola rientra nella top 10 dei film degli anni ’90 preferiti da Martin Scorsese e…beh, sappiamo tutti che ne è stato di Wes Anderson. Si sa, what doesn’t kill you it makes you stronger e ciò che quest’opera racchiude in nuce ha modo di sbocciare (e piuttosto rigogliosamente) nei film successivi.

the wilsons brotherBottle Rocket, infatti, seppur in maniera latente, contiene già gli elementi che sarebbero diventati distintivi dello stile andersoniano.
La storia è quella di tre amici (Dignan, Anthony e Bob) che tentano di sbarcare il lunario mettendosi in affari con uno pseudo “architetto di giardini” (che in realtà è un ladro) e organizzando con lui una rapina ai danni di una ditta di celle frigorifere. Neanche a dirlo, il colpo non va a buon fine e mentre il resto della banda riesce a scappare, Dignan viene messo in prigione.
Quella che di primo acchito potrebbe sembrare una trama di un film d’azione o drammatico, nelle mani di Wes Anderson diventa una strampalata commedia costruita (ad arte) su dei buffi ed esilaranti personaggi. I protagonisti – ovviamente – sono un gruppo di adulti mai cresciuti: Dignan (Owen Wilson) è il capo della banda, volitivo e determinato, Anthony (Luke Wilson) è quello pacato e razionale, Bob (Robert Musgrave)… quello che ha la macchina.
Talmente esasperato è il modo attraverso cui questa loro condizione di “bambinoni” viene rappresentata, che risulta fin da subito difficile prendere sul serio la vicenda che li vede coinvolti.
Le battute, gli atteggiamenti, il loro modo di porsi e di relazionarsi con gli altri personaggi (mentre Anthony si confida e prende consigli dalla matura sorellina, Bob si fa ancora canzonare dal fratello maggiore), rende la banda di pseudo-rapinatori credibili quanto un gruppo di bambini che gioca a cow-boy ed indiani nel giardinetto di casa.
«Ecco alcuni degli ingredienti base: dinamite, salto con l’asta, gas esilarante, elicotteri: ti rendi conto che cosa incredibile? Una favola! Andiamo!» dice Dignan per convincere Anthony a partecipare al colpaccio.

Si badi bene, anche le dinamiche all’interno del gruppo sono quelle che si riscontrerebbero tipicamente tra amichetti delle medie (continui litigi, risse, esagerate manifestazioni d’affetto). L’intromissione di un elemento femminile, poi, (durante una fuga i tre pernottano in un motel dove Anthony conosce Ines, una delle donne di servizio, e se ne innamora) genera le classiche reazioni che avrebbe un gruppo di ragazzini intento nel gioco, se interrotto da una bambina: c’è chi ne è attratto, chi invece la considera un’inutile interferenza.
bottle-rocket-4Il ricorso, inoltre, all’espediente della diversità della lingua (Ines è paraguayana e parla inglese poco e male) origina una serie di divertenti equivoci che si sommano alla già buffa situazione che vede coinvolti i protagonisti. La totale assenza di malizia da parte loro, fa in modo che anche i riferimenti al sesso siano “innocenti”: quasi più esplicita della scena “d’amore” è la scena in cui Anthony, spingendo con Ines il carrello della biancheria pulita come farebbero due genitori con un passeggino, prende un asciugamano tra le mani e dice « È ancora caldo, appena uscito dall’asciugatrice! » e poi, mentre è seduto a chiacchierare e a rilassarsi con lei in lavanderia (proprio davanti all’asciugatrice), sbotta: «Ragazzi, è fantastico […] È proprio tutto come me lo immaginavo!», ed è tutto dire.

La loro è una mancanza di malizia che coinvolge non solo il piano sessuale ma, soprattutto, il piano personale e pratico delle loro esistenze: ne è esempio il fatto che nessuno sospetta che il loro boss ha in realtà architettato di rapinare la casa di Bob mentre loro sono impegnati nella rapina (oltre il danno, la beffa!).
Anderson fin dagli inizi si occupa quindi di un mondo sui generis, che rifiuta la realtà e le preferisce l’illusione. Dignan crede fino in fondo nella validità del suo piano, nella riuscita della rapina, nella svolta che prima o poi arriverà nella sua vita. È sempre entusiasta, carico e ogni suo gesto fa trasparire una ferrea convinzione. È un personaggio che si incontrerà nuovamente, sotto altre spoglie, nella filmografia del regista, come anche l’amarezza di fondo che, nonostante l’ironia, si avverte chiara: anche se mediato da piccole consolazioni, il fallimento – del piano, come di loro stessi come persone – è una tematica che ritorna spesso nelle sue opere.

bottle2Ma non solo a livello di temi è evidente l’impronta andersoniana. Ritroviamo in Bottle Rocket alcune sue firme stilistiche come le inquadrature dall’alto “di mani che fanno cose”, il rallenty e l’inserimento di significativi brani musicali in determinati momenti (qui in tutte le scene di “azione”, di fuga o di manifestazione di un particolare sentimento). Ancora tenui sembrano la maniacalità scenografica e l’ossessione per i colori brillanti (se si eccettuano le divise giallo sgargiante che la banda indossa durante la rapina): d’altra parte, il budget ottenuto non è paragonabile a quello di cui avrebbe potuto disporre nei film successivi e la qualità delle riprese risente, oltre che dei mezzi, anche del periodo di realizzazione.

Se era chiaro che gli scapestrati rapinatori di Bottle Rocket  non avrebbero avuto chances di fronte a chi, in un film che debuttò al cinema proprio nell’anno d’uscita del corto d’origine, recitava «All right, everybody be cool, this is a robbery!», è anche vero che goffi non lo erano abbastanza da poter sembrare, per citare un altro di quei film usciti nel 1994, degli “Lloyd ed Harry” di Scemo e più scemo. La ragione dell’insuccesso di Anderson è paradossalmente la stessa che ha poi determinato il suo successo: il suo particolare approccio alla trama, la capacità di averla resa unica grazie alla costruzione di personaggi ben caratterizzati e lo stile utilizzato, gli hanno consentito di collocarsi su un diverso piano rispetto a ciò che il mercato allora offriva.
Bottle Rocket è semplicemente stato un assaggio delle sue capacità. Un semplice “petardo” – appunto – prima dei fuochi d’artificio.

 

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About Elena Cappozzo

Dopo la laurea in Filologia Moderna a Padova, studia Film Writing a Roma. Sognando di scrivere “per”, scrive “di” (cinema) qua e là, accendendo ogni tanto un cero a San...SetBlv. Il grande schermo è il suo primo, assoluto amore ma le capita con discreta frequenza di tradirlo con quello della tv e persino con quello del pc (quella da Youtube e serie tv è in realtà una dipendenza piuttosto grave, no judging.)

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