Anno: 1985
Origine: USA
Durata: 96’
Tassisti spericolati, donne folli, artisti fuori di testa, topi d’appartamento, locali trasgressivi. Questa è New York after hours, un cuore pulsante che batte esagitato dallo scoccare della mezzanotte fino all’alba, come un’insonne e disinibita Cenerentola anni Ottanta che ha perso la ragione e non la scarpetta.
La città che non dorme mai non può generare sogni, ma incubi sì, come quello in cui si trova scaraventato Paul, un ragazzo regolare (anonimo?) che trascorrerà la notte più assurda della sua vita in una surreale e onirica New York.
Paul desidera fuggire dalla monotonia dell’ufficio, della sua casa fredda e incolore, delle cene in solitudine, ma si ritroverà a dover nuovamente scappare, letteralmente stavolta, dalle donne che incontra durante questa sua avventura notturna; dagli abitanti del quartiere di Soho che lo inseguono, credendolo un ladro; dalle sue paure, dai sensi di colpa per peccati che non ha neanche commesso.
Tutto comincia con l’incontro fortuito con una donna affascinante, Marcy, che lui decide di andare a trovare a casa sua nel quartiere bohèmien di Soho, nonostante la tarda ora.
Come afferma Peter, il proprietario di un bar in cui si reca Paul con Marcy alle due del mattino: «Cambiano le regole a quest’ora. Quando si fanno le ore piccole è zona franca.»
Le frequenti inquadrature a vari orologi indicano continuamente le coordinate temporali, quasi a ricordare, come suggerisce il titolo, che siamo “fuori orario” ossia fuori da una percezione reale dello scorrere delle lancette, ma anche fuori tempo. Paul cerca di prendere la metropolitana, ma non riesce perché da poche ore è aumentata la tariffa del biglietto e lui ha in tasca meno di un dollaro. Va a casa di Tom, il proprietario del Bar Terminal appena conosciuto, con le chiavi che lui gli ha dato proprio nel momento in cui sono stati svaligiati alcuni appartamenti in quel palazzo e quindi gli inquilini lo credono un ladro. E ancora, ogni volta che Paul torna al Terminal per restituirgli le chiavi, Tom ha appena abbassato le saracinesche ed è andato via.
Questa chiusura è metafora di una chiusura comunicativa: quando Paul parla di sé, nessuno è disposto mai ad ascoltarlo, perfino il barista del locale Berlin che per professione è abituato a sentire discorsi di avventori ubriachi fino a notte fonda, risponderà all’affermazione di Paul: «Io voglio vivere…» con un «Spiacente, si chiude.»
La mdp si muove come un occhio soprannaturale che sa cosa accadrà e ce lo suggerisce, indugiando sulla sola banconota in possesso di Paul che gli vola via dal finestrino del taxi in folle corsa, volteggiando nell’aria in un beffardo ralenti inseguita dallo sguardo disperato di Paul.
Lascia intuire con un leggero zoom l’importanza del portachiavi a forma di teschio che Tom dà a Paul per andare a casa sua a fargli un favore. Teschio che infatti ritornerà sotto forma di tatuaggio sulla coscia di Marcy.
Il tempo gioca un ruolo fondamentale, avvolge il film su se stesso come in una spirale: è circolare, tutto torna, come anche i fermacarte di carta pesta a forma di panino al formaggio a cui aveva accennato Marcy a Paul quando si erano conosciuti e che Paul si vedrà regalare dalla cameriera del bar di Tom.
Queste coincidenze lo spaventano, tutto sembra complottare contro di lui, come se fosse il capro espiatorio dei mali della società newyorchese. Il suo continuo essere nel posto sbagliato al momento sbagliato crea una serie di equivoci e casi sfortunati per i quali viene incolpato prima di essere un furbo che non vuole pagare il taxi e la metropolitana, poi di essere un ladro d’appartamenti e implicitamente anche del suicidio di Marcy.
In una scena vediamo infatti Paul, esasperato, alzare gli occhi al cielo e gridare a un Dio, probabilmente anche lui sordo: «Cosa vuoi da me? Che ti ho fatto? Sono solo un programmatore di computer, Cristo Santo!!!»
Ritorna New York in questo film che nel 1986 fa vincere a Scorsese il premio come migliore regia al Festival di Cannes, consacrando la sua rinascita dopo l’insuccesso di Re per una notte (1983).
La città stavolta non è solo ambientazione scenografica sullo sfondo ma protagonista, personaggio con una propria anima che riflette come uno specchio infranto quella dei suoi abitanti. Ha una personalità schizoide, accogliente ma infida, sfacciata e aggressiva, seria business city di giorno e Big Apple avvelenata di notte.
Se si volesse confrontare la New York di Fuori orario con quella raffigurata nel precedente Taxi Driver (1976) ci si accorgerebbe che si tratta della stessa città vista con occhi differenti.
In Fuori orario New York è un luogo traviante, popolato dai fantasmi delle paure e dei (cattolici) sensi di colpa di Paul che, rispetto al Travis Brickle di Taxi Driver, è un ‘puro’, non ha colpe se non quella di essere troppo inquadrato.
In Taxi Driver invece New York si macchia di peccati ben più gravi: violenza, baby prostituzione, omicidi. Il tassista Travis non è esattamente un ingenuo senza esperienza. Reduce della guerra del Vietnam, pensa di poter ripulire la città dai suoi mostri che rappresentano anche la proiezione dei personali mostri che lui ha dentro.
La violenza è lo strumento che utilizza, male contro male, l’unico rimedio.
In Taxi Driver non c’è traccia di black comedy e non si ride mai. I sorrisi di De Niro sono smorfie folli di una persona che ha visto l’orrore di una delle più atroci guerre.
Unica analogia con Fuori orario è che Paul e Travis sono entrambi soli, antieroi emarginati da una società malata.
Siamo in entrambi i casi lontani dalla Little Italy di Quei bravi ragazzi (1990) dove la comunità inglobava e fagocitava il protagonista nelle sue fauci, senza possibilità di discernere le differenze perché la città si rendeva complice delle loro nefandezze.
Siamo distanti anche dalla rappresentazione luminosa e musicale di New York New York (1977) che vuole essere un omaggio del regista alla sua città oltre che ai musical degli anni Cinquanta.
Pur essendo un film assolutamente non leggero in quanto affronta l’importante tematica dei problemi relazionali e dell’incomunicabilità della coppia, si canta, si suona, si balla. Ci si innamora, ci si sposa, si fanno figli. La voce soave di Liza Minelli e il suono del sax di de Niro (che per l’occasione ha imparato a suonarlo) pervadono, a tratti, l’atmosfera del film di una sorta di languida leggerezza che mai avvertiamo negli altri due lungometraggi.
Fuori orario spesso muove al riso per le situazioni grottesche che presenta, ma percepiamo sempre una impalpabile tensione. Tensione che invece esplode nella violenza prima repressa e poi sfogata nella sparatoria finale di Taxi Driver.
Il disperato tentativo di Travis di salvare Iris finisce inevitabilmente con una sconfitta bagnata nel sangue perché è una battaglia persa in partenza. Lui è solo contro una comunità corrotta e marcia nelle radici e Iris, come Betsy, altra donna (impegnata in politica) di cui si invaghisce Travis, è inaccessibile proprio come tutte le donne di Fuori orario. Figure femminili che sembrano inizialmente disponibili con Paul, salvo poi rivelarsi isteriche e aggressive. Paul ne è attratto ma, turbato, scappa via e in questa scelta si sente l’imprinting di un’educazione, quella del regista, marcatamente cattolica.
Tuttavia il finale di Fuori orario è, in un certo senso, riconciliante o comunque confortante, rispetto a quello di Taxi Driver.
Paul alla fine della nottata e del suo percorso di espiazione di pene altrui, si ritrova dinnanzi al suo ufficio e il cerchio si chiude. La prima scena e l’ultima combaciano.
Sullo schermo del suo pc lampeggia: “Good morning, Paul”
Il computer sembra ricordargli chi è e rendergli così la propria identità perduta nei gironi di una città infernale.
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About Ivana Mennella
Partenopea di nascita e spirito, ma milanese di adozione, si trasferisce all’ombra della bela Madunina nel 2007. A 10 anni voleva fare la regista. A 20 la traduttrice per sottotitolaggio e adattamento dialoghi. A 30 la sceneggiatrice. A 40 sa con certezza una sola cosa ossia che il cinema è ancora e resterà sempre la sua più grande passione.