Regia: Steph Greene
Anno: 2013
Origine: Irlanda/Germania
Durata: 102’
Film d’apertura dell’edizione 2013 del Milano Film Festival, Run & Jump è il primo lungometraggio di Steph Greene, vincitore del premio come miglior film irlandese e migliore opera prima al Festival di Galway dopo l’anteprima al Tribeca Film Festival.
Su undici lungometraggi in programmazione al MFF 2013, otto film erano di registe donne. È uno sguardo soprattutto al femminile quello dietro la camera, proprio come in Run & Jump che la regista così definisce: «Questa non è la storia di un uomo che si riadatta alla vita dopo un infarto, ma di una donna che si adatta a un nuovo uomo. Questo aspetto della vicenda non è raccontato spesso». Ed è proprio ciò che lei riesce a raccontare con un umorismo mai frivolo e una serietà scevra da falsi pietismi.
Venetia Casey cerca di ripristinare un’armonia familiare dopo l’ictus che ha colpito suo marito Conor. Non è facile per lui riprendere una propria dimensione all’interno della famiglia in quanto l’esito dell’ictus gli ha modificato il carattere. Da padre e marito premuroso e affettuoso qual era prima della malattia, ora sembra chiuso in una sorta di “autismo” sentimentale che gli permette di entrare in contatto con il mondo esterno solo attraverso un cucchiaio di legno che lui, abile ebanista, ha creato. Il cucchiaio diventerà poi una forchetta che sembra simbolicamente una piccola mano con dita di legno con cui Conor timidamente tocca il mondo circostante, gli animali e le persone.
A rendere precario il già delicato equilibrio familiare è l’arrivo di un neuropsichiatra, Ted Fielding, che dovrà studiare il caso clinico di Conor per due mesi, vivendo a stretto contatto con loro.
Anche lui, come Conor, ha problemi relazionali. È intimidito e imbarazzato dalla rossa vitalità irlandese di Venetia e dei suoi figli ed è interessato solo in maniera fredda e professionale a Conor.
I movimenti della camera a mano di Ted, che filma il suo caso clinico, non creano una sensazione di maggiore intimità, sottolineano invece la distanza emozionale che il neuropsichiatra crea interponendo un “secondo” occhio tra lui e la famiglia di cui è ospite. Successivamente l’irruenza di Venetia riuscirà a sbloccarlo e Ted diverrà anzi un elemento di disturbo, perché si porrà quale sostituto matrimoniale per Venetia e genitoriale per il figlio adolescente Lenny, preso in giro dai bulli della scuola in quanto omosessuale.
C’è una corrispondenza simbolica tra spazio scenico e interiorità dei personaggi, non a caso la prima immagine è una casetta con quattro pupazzi di legno senza volto, casetta che verrà poi distrutta a badilate dalla madre di Conor e da Venetia alla fine del film.
Sempre in una delle primissime scene osserviamo Conor, sonnambulo, in giardino. Tra il suo sguardo e il nostro c’è una struttura bianca di metallo le cui sbarre rendono Conor, per effetto ottico, come in gabbia, intrappolato. Una gabbia soprattutto comunicativa. Pregnante in tal senso è la scena in cui Conor durante il percorso di rieducazione cognitivo-verbale deve scegliere delle lettere per formare delle parole di senso compiuto. Sceglierà L per “Love” e “Light” e la S di “Start again”.

About Ivana Mennella
Partenopea di nascita e spirito, ma milanese di adozione, si trasferisce all’ombra della bela Madunina nel 2007. A 10 anni voleva fare la regista. A 20 la traduttrice per sottotitolaggio e adattamento dialoghi. A 30 la sceneggiatrice. A 40 sa con certezza una sola cosa ossia che il cinema è ancora e resterà sempre la sua più grande passione.