AMERICAN HUSTLE

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Regia: David O. Russell
Anno: 2013
Origine: USA
Durata: 138’

 

Fine anni ‘70. Irving Rosenfeld, truffatore dalla doppia vita, è costretto, insieme alla socia e amante Sydney Prosser, a collaborare ad un’operazione dell’FBI a fianco dell’agente Richard DiMaso, per sventare un giro di corruzione che coinvolge politici e mafiosi.

Tratto da un fatto di cronaca, il film di David O. Russell tralascia ogni pretesa di verosimiglianza e fedeltà alla realtà per puntare decisamente su un registro grottesco. Dai personaggi, ai costumi, alla trama stessa, tutto è rivisto in un’ottica eccessiva e paradossale ed è proprio questo approccio a permettergli di affrontare il nucleo tematico fondamentale del film in modo efficace e per nulla banale: il tema centrale è quello del doppio e si sviluppa nel duplice rapporto tra realtà e finzione.

Un concetto che viene espresso soprattutto attraverso i personaggi (vero fulcro di tutto il lavoro) ed in particolare la coppia di protagonisti, i due truffatori Irving Rosenfeld (Christian Bale) e Sydney Prosser (Amy Adams), ma anche l’agente Richard DiMaso (Bradley Cooper), la moglie di Irving, Rosalyn (Jennifer Lawrence), e il sindaco Carmine Polito (Jeremy Renner). Diversi per carattere, ambizioni e comportamenti, i protagonisti hanno però alcuni elementi in comune (elementi che condividono anche con i personaggi minori): innanzitutto la convinzione, più o meno conscia, che per raggiungere un obbiettivo – si tratti di una truffa, dell’arresto di criminali o della ripresa economica di una città – sia necessario ricorrere ad ogni mezzo, anche se non del tutto lecito; di conseguenza tutti sono caratterizzati da una duplicità intrinseca, che in ciascuno si esplicita in modo diverso (la doppia vita di Irving, il falso accento inglese di Sydney, lo squallore domestico di Richard, i ricatti psicologici e affettivi di Rosalyn, i maneggi politici di Carmine). Ma ciò che li definisce maggiormente, e che li rende così “umani”, è una certa fragilità dovuta al contrasto esistente tra le ambizioni, i desideri, gli obbiettivi e le azioni che intraprendono per realizzarli. Ben consapevoli che l’inganno e la finzione dettano le regole del mondo in cui vivono, accettano lo stato delle cose e cercano o di sopravvivere o di volgerlo a proprio favore. Così, anche i fini più giusti appaiono motivati da sentimenti gretti e perseguiti con mezzi al limite della legalità: non esiste una netta distinzione tra bene e male, tra bianco e nero, ma è il grigio il colore che domina – metaforicamente – e, proprio per questa incertezza morale, la realtà viene plasmata e piegata dalla volontà di ciascuno.

La legge dell’inganno e della duplicità è universale – si estende anche ai rapporti d’amore e d’amicizia – e per mostrarne l’onnipresenza il regista la usa come cifra anche stilistica del film. I flashback e i colpi di scena, infatti, sono funzionali alla storia come alla sua rappresentazione: lo slittamento continuo tra realtà e finzione si impone a poco a poco attraverso situazioni ambigue, non immediatamente chiare, sempre in bilico tra due possibili esiti. Gli stessi abiti, nella loro esagerazione, alludono ad una continua messa in scena. Una duplicità che dal nucleo tematico si rispecchia nella struttura stessa del film: comico, certo, ma di una comicità amara, che sottende una riflessione profonda e complessa e non esclude il dramma.

 

 

About Alessandra Pirisi

Tra i fondatori di Cinemagazzino, ne è stata redattrice e collaboratrice fino al dicembre 2018. Laureata all’Università di Bologna in Lettere moderne. I suoi interessi vertono su letteratura (suo primo amore), teatro, danza, cinema, musica e Bruce Springsteen. Si interessa – molto – a serie tv, in particolar modo poliziesche. Ha un'ossessione totalizzante per il cinema indiano.

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