SHOAH Per non dimenticare – TRAIN DE VIE – UN TRENO PER VIVERE

Titolo originale: Train de vie; Regia: Radu Mihăileanu; Interpreti: Agathe De La Fontaine, Lionel Abelanski, Rufus, Clément Harari, Marie José Nat; Origine: Francia, Belgio, Romania, Israele, Paesi Bassi; Anno: 1998; Durata: 103’

Siamo negli anni 40, la follia nazista sta prendendo piede. In uno shtetl dell’Europa dell’Est Shlomo, lo scemo del villaggio, allerta gli abitanti che a breve arriveranno i nazisti per deportare anche loro. Il rabbino raduna tutti e insieme mettono in atto un piano: una finta deportazione. Decidono quindi di recuperare un vecchio treno, travestire alcuni ebrei da ufficiali delle SS per rendere credibile il piano e partire alla volta della Terra promessa.

Ammetto la mia colpa. Ho visto davvero pochi film ambientati durante il periodo dell’Olocausto perché so già che non ne reggo la visione e per me, che sono una grande appassionata di cultura ebraica, è una mancanza di cui un po’ mi vergogno. Quando sono andata a visitare il Memoriale della Shoah di Milano mi sono sentita male, non quando ho visto il vagone dove deportavano gli ebrei, ma da subito, appena ho messo piede nello spazio antistante la biglietteria. Sono stata investita da un’ondata di dolore, lo potevo toccare, lo sentivo addosso, sul viso, sulle spalle. Era lì nell’aria, silenzioso e intollerabile. Stavo per andar via, ma non avevo visto ancora nulla quindi sono rimasta e ho visto le cose che c’erano da vedere. Muta, permeabile. Non ho mai visto La vita è bella o Schinder’s List perché temo la potenza evocatrice del cinema. La conosco bene, so cosa provoca la sospensione dell’incredulità nello spettatore, in me. Ho preferito quindi guardare pellicole come Bastardi senza gloria, Jo Jo Rabbit, Ogni cosa è illuminata e Train de vie. Tutti film che affrontano il crimine nazista, ma sono pervasi da una vena di umorismo. La premessa è funzionale perché spesso incontro persone che non hanno mai visto un solo film sull’argomento per un’eccessiva sensibilità a certe tematiche e magari si sono perse pellicole intense come Train de vie che regge su un preciso equilibrio tra commedia e tragedia. Non credevo fosse possibile creare una perfetta alchimia tra l’umorismo yiddish e un dramma storico di proporzioni enormi come l’Olocausto.

Per insegnare un’impeccabile pronuncia tedesca a Mordechai, l’uomo designato dal Rabbino a ricoprire il ruolo dell’ufficiale delle SS nella pantomima che stanno mettendo in piedi, viene chiamato Schmecht, uno scrittore, cugino del Rabbi, vissuto tanto tempo in Austria. Folgorante lo scambio di battute tra i due. Schmecht definisce l’yiddish “Una parodia del tedesco con l’umorismo dentro.” e per parlare bene tedesco, sostiene, bisogna togliere l’umorismo. Mordechai risponde: “I tedeschi lo sanno che facciamo la parodia della loro lingua? Saranno mica in guerra per questo?!” In questa commedia amara ce n’è tanto di quell’umorismo che Freud, psicanalista ed ebreo, definiva “Il più potente meccanismo di difesa”.

Eppure, si stringe il cuore a vedere i membri dello shtetl inchiodare su uno sportello del vagone una svastica per coprire la mezuzah (piccolo rotolo contenente una pergamena con brani biblici che gli ebrei mettono fuori la loro porta di casa come usanza religiosa) o vedere Mordechai vestito da ufficiale delle SS con la kippah sul capo in un momento di ‘riposo’ dalla messinscena. È lo stridere dei due significanti a creare quell’umorismo che è il “sentimento del contrario”, come lo definiva Pirandello. Il percepire nel comico il tragico, perché nel riso nasce una riflessione profonda che è comprensione della fragilità umana e allo stesso tempo compassione per la condizione umana.

Train de vie è un film che invita a guardare oltre, sotto la svastica dove si nasconde la mezuzah, dietro lo scemo del villaggio, Schlomo, che ragione in maniera più saggia del Rabbi stesso di cui è infatti consigliere. E ancora di guardare oltre le divise verdi dei falsi SS, anche di quelle del nemico (apparente) che si para davanti al treno arrestandone la corsa per poi svelare la vera identità. Non è un vero nazista, ma fa parte di un altro treno di finti deportati, zingari stavolta. E allora sotto il segno di un destino comune due culture differenti si uniscono mangiando e danzando insieme, chi maiale, chi kosher, chi suona violini tzigani, chi musiche popolari yiddish in un’alternanza giocosa di botta e risposta che si fonde infine in un una sola voce.

La colonna sonora è firmata da Goran Bregovic. Non svelo l’inaspettato finale perché ho fatto già abbastanza spoiler, inevitabile per spiegare la bellezza di questo film che strappa una risata e subito dopo una lacrima.

About Ivana Mennella

Partenopea di nascita e spirito, ma milanese di adozione, si trasferisce all’ombra della bela Madunina nel 2007. A 10 anni voleva fare la regista. A 20 la traduttrice per sottotitolaggio e adattamento dialoghi. A 30 la sceneggiatrice. A 40 sa con certezza una sola cosa ossia che il cinema è ancora e resterà sempre la sua più grande passione.

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