TOKYO LOVE HOTEL

  Titolo: Tokyo Love Hotel; Titolo originale: Sayonara kabukichô; Regia: Ryuichi Hiroki; Interpreti:  Shôta Sometani, Atsuko Maeda, Asuka Hinoi; Origine: Giappone; Anno: 2014; Durata: 135’

24h tra le mura dell’hotel Atlas, un motel a ore di Tokyo, nel quartiere a luci rosse Kabukicho.

Il giovane Toru si è faticosamente diplomato alla scuola alberghiera e vorrebbe diventare concierge di un grande hotel. Il suo sogno sembra irrealizzabile e si deve accontentare del ruolo di inserviente di un motel a ore. L’incertezza e la frustrazione per il lavoro (e per l’amore) si ritrovano nell’insofferenza del suo sguardo.
Intorno a lui, un via vai di clienti, insospettabili di giorno, alla ricerca di svago, compagnia e, soprattutto, compassione.

Il regista Hiromi Ryuichi sceglie un punto di osservazione originale, uno dei tanti love hotel di Tokyo. Non deve far altro che star fermo e aspettare che i suoi prossimi personaggi entrino e scelgano una stanza tra quelle offerte (proiettate su schermi LCD all’ingresso). Il tempo scandito da un orologio in sovraimpressione, i giovani protagonisti, e altre vicende che non anticipiamo, rafforza il sospetto di una ispirazione (legittima) al racconto noir “After Dark” di Murakami.
Ma qualcosa non deve aver funzionato.

 

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Si è voluto puntare su una commedia “erotica” con toni drammatici e alla fine non è pervenuto nessuno di questi aspetti. Non ci si diverte, non ci si commuove, non ci si eccita. L’umorismo è trattenuto e sporadico, non brioso come il contesto concederebbe. I toni drammatici soffusi e mai categorici, semplici e prevedibili. Le scene di sesso al limite del farsesco.
I tempi sono irregolari, ristretti e poi dilatati in scene insistenti (si pensi al bagno “purificatore”).

Ciò nonostante, il film non è effimero ma pervaso da riferimenti critici ed espliciti alla società giapponese, così contorta e contraddittoria (ad esempio la prostituzione è legale ma solo per i giapponesi e solo se non comprende l’atto completo). Una popolazione per certi versi fantastica, nell’attitudine a vivere per la collettività, paga il prezzo, troppo alto, di restituire uomini e donne impersonali, bisognosi di affetto e di sfoghi da una realtà a senso unico.

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Sullo sfondo, permane la tragedia di Fukushima, già dimenticata dal Mondo e dal Giappone stesso, ma che ha ancora strascichi profondi sul benessere di una buona fetta di persone. Anche il tema dell’immigrazione (dalla Corea del Sud) viene più o meno citato.
Le immagini sono accompagnate dalla piacevole luce invernale della mattina fino alle luci artificiali delle stanze buie, la colonna sonora “indie” e un finale tecnicamente superiore al resto del film, risollevano un po’ le sorti, ma non è abbastanza.

Vedi anche la recensione di Ivana Mennella.

About Frank Stable

Nasce a Moncalieri (TO) il 30 Maggio 1992, si laurea nel 2018 in Medicina e Chirurgia presso la facoltà di Torino. Benché in famiglia abbia sempre respirato una certa attenzione al cinema la vera passione nasce durante il Liceo Scientifico grazie alla preziosa e ispirante programmazione del canale satellitare "CULT". Sarà il film "Vodka Lemon" di Hiner Saleem a sancire la svolta e trasformare l'interesse in passione.‎ Al di fuori del cinema i suoi interessi sono per le automobili, i viaggi e la fotografia di viaggio, la tecnologia e la grafica.

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