Titolo: In nome di mia figlia; Regia: Vincent Garenq; Interpreti: Daniel Auteuil, Sebastian Koch, Marie-Josée Croze, Christelle Cornil; Anno: 2016; Origine: Francia, Germania; Durata: 87′
Una quattordicenne di nome Kalinka parte per una vacanza in Germania con la madre, il fratello e il patrigno Dieter Krombach. Dopo poco tempo il padre, André Bamberski, riceve una telefonata che lo informa della sua morte.
È del 2010 il libro Pour que justice te soit rendue di André Bamberski, un contabile figlio di genitori polacchi vissuto tra Marocco e Francia, protagonista di un’odissea personale iniziata nel lontano 1982, quando sua figlia, Kalinka (Kalinka è il nome di un fiore della Polonia), muore durante una vacanza in Germania. I sospetti di André, che vive in Francia, a Pechbusque, fin da subito ricadono sul patrigno, affermato cardiologo di Lindau (una cittadina della Baviera). Sembra fin dall’inizio al padre che la ragazza sia stata stuprata e uccisa con un’iniezione letale.
Nel 1984 André sporge denuncia contro costui. La sua intuizione nei confronti di Krombach troverà conferma nella condotta di quest’ultimo, che verrà incriminato nel corso degli anni per altri casi, conclamati, di pedofilia. Ma la giustizia (sia francese che tedesca) non è dalla parte di André, che viene a sua volta portato in prigione per aver assoldato dei malavitosi con l’intento di fare un atto dimostrativo contro il medico.
Il film In nome di mia figlia nasce a distanza di sei anni dal libro succitato. Durante la sua realizzazione, il regista ha mantenuto un costante dialogo col vero Bamberski, il quale, a lavoro terminato, s’è mostrato soddisfatto dei contenuti oltre che della ‘patina’ interpretativa degli attori.
Dopo Presume coupable (già incentrato sul tema della pedofilia) e L’enquete, Vincent Garenq firma un nuovo film tratto dalla cronaca e dalla realtà giudiziaria.
Ha detto il regista: “L’ispirazione per i miei film non la trovo mai in me stesso, l’attingo dall’esterno, dalla vita degli altri, quando essa risveglia in me una risonanza particolare. Poi, raccontando la loro storia, m’identifico con loro e questo finisce per donare una musica piuttosto personale al film”.
Da semplice e modesto contabile, André Bamberski diviene un instancabile ‘indagatore’ dell’omicida di sua figlia. Si fa tradurre il testo in tedesco dell’autopsia, legge e studia con accanimento complessi volumi di legislatura. Dopo anni ottiene che si faccia una seconda autopsia. Nel corso del tempo l’amore per la figlia si trasforma in caparbietà, la caparbietà si trasforma in ossessione e mania. Una lotta contro il tempo, ma anche un inseguimento infinito, una caccia all’uomo dove le azioni del malvagio – si noti bene – vengono quasi sempre occultate agli occhi dello spettatore. Ne viene fuori una figura eroica di uomo e di padre. Bamberski è quasi solo nella sua battaglia. Lo affianca una nuova compagna, sinceramente innamorata di lui. La sua ex moglie invece si schiera a favore di Krombach, e solo dopo molti anni riconoscerà di essersi sbagliata.
Più che sugli affetti, la regia pone il suo focus sul garbuglio di vicende giudiziarie, sull’ingiustizia sia francese che tedesca nel ‘proteggere’ degli impuniti come Krombach, e sull’atto illecito commesso da André nei confronti di quest’ultimo.
Il film fatica a decollare, dopo un inizio di scarsa pregnanza: non manca di ritmo, eppure l’eccesso di sobrietà e l’assenza di vere accensioni emotive purtroppo mitigano di molto la tensione del lavoro.
Daniel Auteuil si dimostra un sensibile interprete capace di tratteggiare una fisionomia affatto banale di Bamberski. Sebastian Koch (The danish girl) fa bene la parte del malvagio. Poste un po’ più sullo sfondo Marie-Josée Croze (Munich, Maelstrom) e Christelle Cornil (Une promesse).
La sceneggiatura è dello stesso regista affiancato da Julien Rappeneau.
Valida la fotografia e tra le musiche impiegate si ascolta anche uno scorcio del Tristan und Isolde di Wagner.

About Luca Mantovanelli
Saturnino, introverso, Luca Mantovanelli ha iniziato presto ad interessarsi di musica e la sua curiosità per l’aspetto creativo e per la psicoanalisi sfocia all’università con una tesi sulla regìa operistica con applicazione al Don Carlos di Verdi. Ma sono proprio le trame delle opere liriche, talvolta – secondo lui - un po’ dispersive e distanti dalla sensibilità moderna, a ricordare a Luca che nel suo passato alcune altre trame (come per esempio di Amadeus e di Film blu) gli avevano cambiato un po’ la vita. Ecco allora una nuova presa di contatto da parte sua con la ‘settima arte’ (e Bobbio ha rappresentato senz’altro per lui un’insolita quanto stimolante esperienza). I suoi incontri con il cinema (di ieri e di oggi) sono stati sempre meno casuali e sempre più dettati dalla curiosità. Luca ritiene che i prodotti artistici migliori (che riscontrino un successo di botteghino o meno) siano quelli che sentiamo riflettere pezzi del nostro Io, e al tempo stesso in grado di indicarci o aprirci una nuova strada…perché è sempre indispensabile un quid di novità. L’introversione ha portato Luca a trovare nella scrittura il suo più congeniale e gratificante mezzo di espressione.