LE DERNIER COUP DE MARTEAU

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Regia: Alix Delaporte; Interpreti: Grégory Gadebois, Romain Paul, Clotilde Hesme, Candela Pena; Origine: Francia; Anno: 2014; Durata: 82′

È la storia di Victor, un ragazzo con la passione e il talento per il calcio, che dopo anni incontra il proprio padre. Grazie alla musica che costui gli fa scoprire ed amare, si compie l’agognato ricongiungimento affettivo.

Le dernier coup de marteu (L’ultimo colpo di martello) della regista francese Alix Delaporte rappresenta uno di quei casi in cui si avverte uno scarto tra le intenzioni-intuizioni (buone) di partenza e l’esito finale.
Il film parla, da un lato, di una storia affettivo-famigliare, dall’altro, di una iniziazione alla musica. L’adolescente Victor rivede il padre Samuel Rovinski, affermato direttore d’orchestra, soltanto dopo anni di silenzio e di distanza (non si chiariscono i motivi di questa disgregazione famigliare). Nell’universo di Victor gravitano essenzialmente la madre Nadia, ammalata di cancro, una ragazza (Luna) e il gioco del calcio, in cui dimostra notevole talento.
Victor incontra per la prima volta dopo dieci anni il padre al Teatro dell’Opera di Montpellier, durante le prove della sesta sinfonia di Gustav Mahler (compositore austriaco-boemo nato nel 1860 e morto nel 1911). Questi gli elementi principali del ‘quadro’.
(Detto tra parentesi, qualche eco de La luna di Bertolucci sembra voler risuonare in questo film: in quel caso era la madre di Joe a rappresentare la potenza incantatoria della musica.)

Ognuno di questi elementi ha un suo sviluppo nel corso della vicenda (parrebbe, quasi, secondo una logica di tipo musicale). Ad esempio, il rapporto padre-figlio, che inizialmente sembra non voler decollare (il padre, piuttosto burbero, si mostra freddo, non interessato al dialogo con quel ragazzino che va sempre a trovarlo a teatro), via via muta, per cui si crea un rapporto di complicità, e Victor riesce a sentirsi finalmente accolto. Così pure hanno una loro evoluzione nel film il tema della madre, quanto quello di Luna, e del calcio.

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Una prima pecca da parte della regista, consiste nel fatto che questi ‘sviluppi tematici’ non sembrano orientarsi verso una direzione precisa, e lo spettatore si sente un po’ abbandonato a se stesso nell’interpretare i movimenti della vicenda. Ad esempio, risulta un po’ sfuggente lo stato d’animo di Nadia nei confronti di Samuel, come pure del tutto disomogenea sembra la figura di Luna.
Quello che è certo, è che l’avvicinamento tra padre e figlio avviene proprio grazie alla graduale fascinazione della musica e all’esplorazione, seppure sommaria, della sinfonia di Mahler. Non scatta la rivalità edipica, non c’è un sentimento di invidia nei confronti del padre affermato: la musica riesce a creare tra Victor e suo padre uno stato di armonia (appunto, un termine musicale) e di simpatia (nel senso etimologico di sintonia, di sentire affettivamente insieme la stessa cosa).
Un’altra pecca della regista: poveri e un po’ rudimentali gli insegnamenti da parte di Samuel sulla musica (l’uomo si limita a chiedere al figlio di pensare alle immagini che la musica gli suscita, e non si va molto oltre).

È necessario inoltre interrogarci sul titolo del film. La sesta sinfonia di Mahler (opera monumentale composta tra il 1903 e il 1904) è, assieme alla prima, alla quinta, alla settima, alla nona e al frammento della decima, una sinfonia interamente scritta per orchestra senza l’impiego della voce. Ha per sottotitolo il nome “Tragica”, specie per l’intensità drammatica dell’ultimo movimento (della durata di quasi mezz’ora), che potrebbe essere paragonato ad un progressivo, lento sprofondamento negli abissi. La sinfonia, se alla sua prima esecuzione pubblica, nel 1906, venne accolta freddamente, è oggi invece considerata uno dei migliori frutti del genio di Mahler e in generale del repertorio sinfonico novecentesco.
Il ‘meccanismo’ del film, suggerito dal titolo (“l’ultimo colpo di martello”, appunto), vorrebbe ruotare intorno alla caratteristica della sinfonia di presentare tre colpi di martello (su un’incudine) che sono tradizionalmente stati intesi, in senso biografico, come tre colpi che hanno letteralmente ‘abbattuto’ la vita di Mahler. Lo stesso Mahler ha ritenuto che quella scelta compositiva avesse avuto un’influenza malefica sul suo destino. E lo pensò nel 1907, dopo che tre fatti si avvicendarono ‘contro’ di lui: la morte della figlia Maria Anna, le dimissioni, per contrasti, dall’Opera di Vienna, e la diagnosi della cardiopatia (che lo condurrà alla morte pochi anni dopo). È per questo che in una delle revisioni della sinfonia (non quella definitiva, ma comunque proprio nel 1907) Mahler, convinto di aver profetizzato il proprio destino, optò per eliminare il terzo colpo di martello.
Il noto filosofo Adorno non volle vedere in questo finale l’immagine dell’eroe stroncato dal fato, ma piuttosto l’evocazione della “cruda vendetta del corso del mondo sull’utopia”.

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Il riferimento culturale insito nel titolo del film esige una ‘corrispondenza’, un appiglio di qualche tipo con il film. Possiamo intravedere una vaga e un po’ forzata corrispondenza tra il fatto biografico delle dimissioni di Mahler dal teatro dell’Opera di Vienna con l’incertezza professionale di Victor come calciatore, così pure il tema della salute della figlia di Mahler potrebbe trovare un suo speculare nella malattia della madre di Victor. Ma facciamo fatica a ritenere che il disagio affettivo (quando si parla di affetti, si parla pur sempre di cuore) di Victor nei confronti del padre, un tempo assente, sia stato pensato dalla regista come il corrispettivo simbolico della malattia al cuore di Mahler. Tra l’altro, un Mahler all’epoca ‘eroso’ dalla personalità capricciosa e infedele della moglie Alma (icona femminile nota oggi non solo per essere stata la moglie del compositore).
La regista non vuole o non può darci la soluzione del significato del titolo. È mai possibile che abbia voluto semplicemente creare un titolo d’effetto, suggestivo, ‘importante’ (in quanto allusivo di un riferimento culturale ‘di nicchia’) senza amalgamarlo in modo adeguato alla vicenda?
Di fatto le vicende di Victor, di Nadia, di Samuel sembrano alla fine volgere verso una risoluzione positiva. Victor viene selezionato per una partita che lo porterà alla carriera calcistica; così pure si approda ad un legame profondo tra Victor e la madre e tra Victor e il padre (mentre continuano a risultare tutto sommato poco decifrabili gli stati d’animo tra Nadia e Samuel). In altre parole, il film si orienta in una direzione diversa da quella della sesta di Mahler, che invece reca in sé un finale potentemente drammatico. Il finale del film, se L’ultimo colpo di martello fosse un sogno, si direbbe che rappresenti la realizzazione di un desiderio.

 

Un’ultima considerazione: per chi scrive, l’abbinamento sport-musica classica nei film non risulta mai un binomio particolarmente avvincente. L’anno scorso, un altro film presentato alla mostra, Il terzo tempo di Enrico Maria Artale, aveva tentato di conciliare il rugby alla musica della settima sinfonia di Beethoven (per fortuna non la ‘solita’ nona, non la ‘solita’ quinta).
Caso vuole che il protagonista di quel film si chiamasse Samuel come il direttore d’orchestra del film della Delaporte.
Dobbiamo constatare che nel film di Artale la musica di Beethoven riesce a regalare qualche emozione in più, anche perché il suo divino materializzarsi coglie letteralmente di sorpresa, in quel contesto prettamente sportivo. Mentre è stato un po’ un azzardo nel film francese mettere così in primo piano una sinfonia ardua come la sesta di Mahler senza riuscire poi registicamente a farla ‘lievitare’ nei sublimi spazi dell’anima.

Molto buona la prova di Clotilde Hesme come Nadia. ‘Squillano’ un po’ meno il giovane Romain Paul nei panni di Victor (ma alla Giuria della mostra è piaciuto molto, tanto che gli ha assegnato il Premio Mastroianni), e Grégory Gadebois nel ruolo del padre (che sembra impiegare una gamma di colori espressivi un po’ troppo contenuta).

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VOTO: 5

About Luca Mantovanelli

Saturnino, introverso, Luca Mantovanelli ha iniziato presto ad interessarsi di musica e la sua curiosità per l’aspetto creativo e per la psicoanalisi sfocia all’università con una tesi sulla regìa operistica con applicazione al Don Carlos di Verdi. Ma sono proprio le trame delle opere liriche, talvolta – secondo lui - un po’ dispersive e distanti dalla sensibilità moderna, a ricordare a Luca che nel suo passato alcune altre trame (come per esempio di Amadeus e di Film blu) gli avevano cambiato un po’ la vita. Ecco allora una nuova presa di contatto da parte sua con la ‘settima arte’ (e Bobbio ha rappresentato senz’altro per lui un’insolita quanto stimolante esperienza). I suoi incontri con il cinema (di ieri e di oggi) sono stati sempre meno casuali e sempre più dettati dalla curiosità. Luca ritiene che i prodotti artistici migliori (che riscontrino un successo di botteghino o meno) siano quelli che sentiamo riflettere pezzi del nostro Io, e al tempo stesso in grado di indicarci o aprirci una nuova strada…perché è sempre indispensabile un quid di novità. L’introversione ha portato Luca a trovare nella scrittura il suo più congeniale e gratificante mezzo di espressione.

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