Regia: Im Kwon-taek; Interpreti: Ahn Sungki, Kim Hojung, Kim Qyuri; Origine: Corea del Sud; Anno: 2014; Durata: 93′
Oh si trova a vivere una doppia vita: quella di uomo sposato ad una donna malata di cancro e quella di capo d’azienda, innamorato di una propria dipendente.
Uno dei due film della Corea del Sud presenti quest’anno alla Mostra del Cinema di Venezia, è stato Hawajang (Rinascere), fuori concorso, del regista Im Kwon-taek.
Si tratta di un dramma moderno ben costruito e avvincente basato sulla ciclicità delle stagioni. Un presidente di azienda di cosmetici, Oh, sposato con una donna malata di tumore, che in fondo non ama, si innamora di una giovane dipendente (Choo Eunjoo).
Il motivo archetipico della ciclicità delle stagioni si riflette sullo stereotipo della giovane avvenente (la primavera) che prende il posto della moglie già in là con l’età e ammalata (l’inverno). Ma anche la scelta del tema della cosmesi rimanda inevitabilmente allo scorrere del tempo e al destino della caducità.
Il cinismo e la spregiudicatezza dei tempi moderni, propri del mondo del lavoro (l’azienda è solo un simbolo) restano sullo sfondo, mentre viene data voce ad un mondo di valori e di affetti che oggi si sta dissolvendo.
Il protagonista maschile è di fatto un personaggio positivo: delicato nell’animo, assiste con dovizia umana la moglie in ospedale, si turba in senso romantico alla vista della giovane dipendente, la desidera anche sessualmente, ma fa in modo che il rapporto resti platonico, anche se avrebbe il potere di mutare il rapporto fra sé e la ragazza a proprio vantaggio. Come è tipico del vero leader in senso machiavellico, si fa rispettare e amare dai suoi dipendenti per la capacità di essere severo (anche con Choo) e generoso a seconda dei casi.
Colpisce il modo in cui il film è stato articolato. La narrazione non segue l’andamento cronologico dei fatti ma al contempo non usa neppure dei veri e propri flashback: i tanti attimi che riguardano la tragedia della moglie (le cure in ospedale, la sofferenza, i miglioramenti, il ritorno a casa, il decesso, il funerale, la cremazione) servono quasi da ‘input’ iniziale a diversi segmenti di cui è composto il film. Gli spezzoni che riguardano la moglie di Oh vengono appunto proposti secondo un ordine sparso (lo spettatore inizialmente fatica a entrare in questa logica costruttiva, per poi abituarcisi), e a ciascuno di essi viene ‘agganciato’ un episodio che riguarda la storia non consumata fra Oh e Choo. I due universi affettivi, sapientemente non vengono resi in contrasto dal regista, ma semmai intrecciati come in un contrappunto musicale.
All’inizio e alla fine della vicenda si menziona la dea coreana della Misericordia. Sono due momenti in cui il regista apre una finestra sulla cultura e le tradizioni orientali (forse nello specifico schiettamente coreane) e fa entrare in gioco la categoria del sacro, che fa da contraltare alle vicende umane raccontate nella storia e rende la ‘scenografia’ della vicenda più ricca e più composita. Questi riferimenti al mito, alla religione, alla cultura di un popolo andrebbero indagati e contestualizzati. Ci limitiamo a pensare che il richiamo al tema della misericordia possa essere dovuto al senso di colpa che il marito prova nei confronti della moglie, non più l’unico centro delle sue attenzioni.
Ma nel film si fa anche un altro preciso riferimento culturale, concernente questa volta uno dei miti più importanti della cultura occidentale, quello di Orfeo ed Euridice. Un mito che, in sintonia con la storia raccontata, parla di inferi (la malattia della moglie) e di amore (quello per Choo). Il senso di anelito provato da Orfeo per congiungersi all’amata Euridice è lo stesso sperimentato da Oh.
Considerevole la bravura degli interpreti: in primo luogo quella dell’attore Ahn Sungki nei panni di Oh, capace di tratteggiare un personaggio profondo ed intensamente umano. Kim Hyo Jung (la moglie di Oh) ha saputo dare voce all’estremità più drammatica della vicenda con realismo ma anche in modo sapientemente stilizzato. Enigmatica, sottilmente perturbante, decisamente attraente, la giovane Kim Gyuri, che ha saputo trovare un giusto equilibrio fra sobrietà poetica e fascinazione erotica evitando sapientemente qualsiasi forma di banalizzazione del personaggio.
VOTO: 7
About Luca Mantovanelli
Saturnino, introverso, Luca Mantovanelli ha iniziato presto ad interessarsi di musica e la sua curiosità per l’aspetto creativo e per la psicoanalisi sfocia all’università con una tesi sulla regìa operistica con applicazione al Don Carlos di Verdi. Ma sono proprio le trame delle opere liriche, talvolta – secondo lui - un po’ dispersive e distanti dalla sensibilità moderna, a ricordare a Luca che nel suo passato alcune altre trame (come per esempio di Amadeus e di Film blu) gli avevano cambiato un po’ la vita. Ecco allora una nuova presa di contatto da parte sua con la ‘settima arte’ (e Bobbio ha rappresentato senz’altro per lui un’insolita quanto stimolante esperienza). I suoi incontri con il cinema (di ieri e di oggi) sono stati sempre meno casuali e sempre più dettati dalla curiosità. Luca ritiene che i prodotti artistici migliori (che riscontrino un successo di botteghino o meno) siano quelli che sentiamo riflettere pezzi del nostro Io, e al tempo stesso in grado di indicarci o aprirci una nuova strada…perché è sempre indispensabile un quid di novità. L’introversione ha portato Luca a trovare nella scrittura il suo più congeniale e gratificante mezzo di espressione.