INTERVISTA AD ANDREA LAVAGNINI, selezionatore per il Milano Film Festival 2013

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di Ivana Mennella, Daniele Benfenati

 

Andrea Lavagnini, classe 1985, critico cinematografico presso la Fondazione Culturale San Fedele di Milano, si occupa di curare rassegne e organizzare corsi di cinema. Scrive di cinema per le riviste “Duellanti”, “Zero” e “Aggiornamenti Sociali”. Dal 2010 è curatore della pubblicazione annuale “Parlare di Cinema” (San Paolo editore, Kaplan), dedicata alla selezione e alla cura di rassegne cinematografiche.

L’abbiamo incontrato in occasione del Milano Film Festival, per cui ha lavorato come selezionatore, e gli abbiamo posto qualche domanda sul suo delicato compito e sulle peculiarità di questo evento, che ha avuto luogo nel capoluogo lombardo dal 5 al 15 settembre.

 

D- Chi può partecipare con il proprio lungometraggio alla selezione del festival? Quali caratteristiche sono richieste?

A.L.- La sezione Lungometraggi del Milano Film Festival è un concorso di opere prime e seconde di registi di età non superiore ai quarantacinque anni, che abbiano terminato di girare e montare la propria opera entro la data di termine dell’iscrizione. Da questo punto di vista è l’unico festival in cui il concorso principale è costituito da esordi alla regia di qualsiasi genere: quindi sia documentari che film di finzione. Mi piace sottolineare come in molti casi siano stati scelti film, come Il n’y a pas de rapport sexuel o Finisterrae, che sconfinavano oltre il cinema tradizionale in territori visivi vicini alla sperimentazione e alla videoarte.

D- Quanti film avete dovuto vedere?

A.L.- Personalmente ho visionato circa centocinquanta lungometraggi per il concorso principale e quasi trecento cortometraggi di animazione per curare la Maratona e la sezione animata del concorso.

D- Quanto dura il periodo di selezione?

A.L.- Io sono uno degli ultimi arrivi del comitato di selezione e ho iniziato a lavorare da febbraio. I direttori artistici hanno iniziato un paio di mesi prima a impostare il loro lavoro. Direi quindi che la selezione in totale occupa quasi dieci mesi.

D- Quanti sono i selezionatori e come si suddividono il lavoro?

A.L.- Esistono tre comitati distinti di selezione: il concorso lungometraggi, il concorso cortometraggi e colpe di Stato, più i selezionatori delle rassegne extra come Outsiders e Vernixage.
Le persone che con me hanno lavorato alla selezione dei lungometraggi sono Alice Arecco, Alessandro Beretta, Marco Cacioppo, Lara Casirati, Vincenzo Rossini, Alessandro Uccelli e Barbara Viola.
Esistono varie commissioni in base all’area geografica di provenienza della produzione cinematografica e vari livelli di competenza in base all’esperienza (a titolo di esempio, io alla prima esperienza ero un selezionatore junior, affiancato nel lavoro da un senior).

D- Quali sono i canali attraverso i quali scoprite le varie pellicole?

A.L.- Esistono principalmente due canali, il primo è rappresentato dai film che si iscrivono direttamente al Milano Film Festival, che sono, potremmo dire con buona approssimazione, un 80% delle visioni totali di un selezionatore. Preciso che lo staff guarda tutti i film iscritti, per quanto la qualità sia spesso discontinua. Un regista (cosa che pochi festival possono certificare) ha la certezza di essere stato visto da almeno un membro del comitato di selezione. Poi esiste la ricerca personale di un selezionatore che, conoscendo meglio la cinematografia di pertinenza, segue nei festival internazionali autori e percorsi che possono essere interessanti per la selezione. In Bloom, premio del pubblico a questo MFF, era passato anche per la Berlinale. Tale meccanismo, ovvero la ripresa di un film da un altro contesto festivaliero, non deve essere visto in maniera negativa, anzi possiamo dire che, eccezione fatta per Venezia e talvolta Cannes, è un comune meccanismo. Scopo di un festival è infatti presentare a un pubblico opere cinematografiche non viste in quell’area geografica (pensate a Toronto che lo scorso anno riprese Après Mai a una settimana da Venezia o Cannes con Beasts of the Southern Wild prima passato per Sundance). Il criterio è che un film sia una national o international première, non di certo un’anteprima mondiale. Tale lavoro è anzi molto impegnativo perché prevede viaggi all’estero, conoscenza dei meccanismi di selezione degli altri festival e peculiarità delle varie direzioni artistiche. Io ad esempio, occupandomi di cinema latinoamericano, seguo con molto interesse i festival principali di quell’area: Mar del Plata, Guadalajara, Ficunam, Rio, Morelia , alla ricerca di nuovi autori e nuovi percorsi, sapendo che ognuno ha la sua peculiarità (Morelia ottimo per le pellicole messicane, Guadalajara per i documentari, Ficunam per la fiction latinoamericana, etc.) e la propria storia.

D- Quali sono stati i criteri di selezione dei film che hanno partecipato al festival?

A.L.- Ogni selezionatore ha la propria sensibilità e la propria formazione. Posso solo avanzare una mia opinione personale.
In un film che sia selezionato cerco un linguaggio che, innovando visivamente, rispetti la matrice narrativa del cinema intercettando istanze e criticità del contesto a cui appartiene. Credo di fondo che il rispetto della funzione-racconto nel cinema sia un bagaglio del mio lavoro di programmista di sala in continuo contatto con il pubblico, mentre sull’innovazione del linguaggio, un po’ a doppia navigazione, mi porto nel lavoro di selezione l’attività critica svolta su riviste come “Duellanti”, dove il dibattito si anima e si svolge in parallelo. È comunque un discorso molto personale che riguarda una propria idea di cinema, il bello del lavorare in un festival è il confronto con altri percorsi e altri sguardi. Per esempio il confronto diretto con Alessandro Uccelli – critico per “Cineforum” e selezionatore senior nella commissione di cinema latinoamericano – ha portato alla mia attenzione registi e cinematografie a me poco noti e lo stesso devo dire di quasi tutte le altre persone con cui ho lavorato. La bravura dei due direttori artistici, Alessandro e Vincenzo, (A. Beretta, V. Rossini ndr), è proprio saper tener conto delle differenti sensibilità (e personalità) dei selezionatori e capire quali istanze o spunti siano più utili in un particolare momento del percorso di costruzione di un festival.

D- Quale tipo di pubblico partecipa al MFF?

A.L.- Credo il pubblico sia molto vario, si passa dai giovani e giovanissimi, attirati dall’aspetto più ludico del Milano Film Festival, a un pubblico fortemente cinefilo che si muove attraverso concorsi e selezioni, cercando un determinato stile cinematografico.

D- Cosa differenzia questa manifestazione cinematografica dalle altre più o meno famose?

A.L.- È l’unico festival italiano di opere prime e seconde che non siano mai passate per il territorio nazionale, con una forte attenzione per i nuovi linguaggi che permette di avere nello stesso concorso fiction, documentari e opere sperimentali. Poi, credo sia l’unico festival – almeno in Italia – a dare così grande importanza a uno sguardo giovane sul cinema, l’intero staff è composto da persone sotto i quarant’anni, più attente agli stimoli di nuove cinematografie e meno ancorate a vecchi dogmi e paradigmi critici. L’aria che si respira è quella di un concorso attento a ogni nuova sperimentazione e a ogni linguaggio.

 

About Ivana Mennella

Partenopea di nascita e spirito, ma milanese di adozione, si trasferisce all’ombra della bela Madunina nel 2007. A 10 anni voleva fare la regista. A 20 la traduttrice per sottotitolaggio e adattamento dialoghi. A 30 la sceneggiatrice. A 40 sa con certezza una sola cosa ossia che il cinema è ancora e resterà sempre la sua più grande passione.

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