Angela Lansbury, Steve Martin, Piero Tosi. Attrice, attore, costumista. Tre nomi, tre categorie diverse, tre carriere invidiabili. Sono loro i prescelti per ricevere l’Oscar onorario 2014, premio che celebra la carriera dell’artista ed il contributo che quest’ultimo ha dato alla società. Personalità indimenticabili che hanno segnato la storia del cinema con il loro lavoro. Ma oltre ad attori, attrici, registi, figure che godono di una posizione privilegiata agli occhi degli spettatori, vi è anche chi un film lo “fa concretamente”: montatori, sceneggiatori, compositori, costumisti, ecc… sono loro la punta di diamante di un complesso sistema basato sul lavoro di molti ma sulla celebrità di pochi.
Quest’anno l’Academy ha deciso di celebrare la grandezza di un uomo che con il suo lavoro ha lasciato un segno indelebile nel nostro cinema: Piero Tosi, classe 1927, primo costumista italiano a ricevere l’Oscar onorario. Il suo operato ci è soprattutto noto per la collaborazione con Luchino Visconti. Un film per tutti, Il Gattopardo (1963), vincitore della Palma d’oro come miglior film al 16° Festival di Cannes e nominato agli Oscar 1964, nella categoria costumi. Indimenticabile la famosa scena del ballo finale nella quale Burt Lancaster e Claudia Cardinale danzano sulle note del celebre valzer di Nino Rota e dove vero protagonista della scena è lo splendido abito di Angelica, realizzato in organza bianca e pois argento su fondo avorio. Un costume maestoso, che avvolge e costringe la Cardinale tra raffinatezza e pomposità, simboleggiando lo sfarzo e la ricchezza di un contesto sociale ormai estintosi. Il Gattopardo si pone quindi come capostipite di un’ingente serie di successi, infatti sarà seguito da altre quattro nomination agli Oscar per Tosi.
Ma sono anche altri i costumisti italiani che hanno avuto un ruolo di primo piano nella storia del cinema: Piero Gherardi, la cui attività lavorativa è stata caratterizzata dalla fortunata collaborazione con Federico Fellini e dalla vittoria di due Oscar nel 1962 con La dolce vita e nel 1964 con 8⅟₂; Danilo Donati, creatore dei costumi per numerosi film di Pier Paolo Pasolini e vincitore di due premi Oscar nel 1969 e nel 1977 rispettivamente con Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli ed Il Casanova di Federico Fellini.
Dal passato al presente: chi sono stati i candidati nell’anno 2014 per la categoria costumi e chi tra i cinque sfidanti si è accaparrato l’ambito premio? Anche quest’anno abbiamo visto susseguirsi cinque tipologie diverse di costumisti con altrettanti generi diversi di film: da Michael Wilkinson con American Hustle a William Chang con The Grandmaster, da Michael O’Connor con The Invisible Woman a Patricia Norris con 12 anni schiavo fino a Chaterine Martin, vincitrice con i costumi de Il grande Gatsby. Ma cosa differenzia questi film? E perché sceglierne uno piuttosto che un altro? Partiamo dall’inizio. American Hustle, ambientato negli anni ’70 in America rispecchia pienamente lo stile dell’epoca, spingendosi forse verso gli eccessi più marcati di una società, soprattutto femminile, che si avvia verso l’emancipazione. Così le donne prediligono profondi spacchi, eccessivi scolli ed abiti fascianti, possibilmente cosparsi di paillettes ed abbinati ad una pelliccia, style che ci riporta mentalmente all’immagine delle dive americane. Gli accessori grandi e geometrici contrastano con le acconciature vaporose, mettendo in rilievo una donna sofisticata pronta ad conquistarsi il proprio posto nel mondo. Per gli attori maschili, totalmente immersi nelle atmosfere degli anni’70, pantaloni a zampa di elefante rivisitati in chiave un po’ più classica, rispetto alle fantasie floreali di moda all’epoca. L’America rimane l’humus privilegiato anche per 12 anni schiavo, il quale, però, ci porta in un periodo storico diverso: è il 1841, prima della guerra di secessione e Solomon Northup, violinista di colore, adescato con l’inganno, viene condotto in schiavitù per 12 anni. Qui la costumista Patricia Norris, ha rappresentato tramite l’uso di tessuti chiari, leggeri e poveri la terribile condizione di schiavitù in cui si ritrovano i protagonisti. Attraverso i costumi si delineano realtà diverse: gli abiti della libertà, della famiglia, della gioia con eleganti giacche, cilindri e bastoni in contrasto con gli abiti monocromi privi d’identità, come la stessa condizione di schiavitù di Solomon. Due universi paralleli che camminano di pari passo ma che non s’incontrano mai: la libertà e la schiavitù. Da un continente all’altro, The Grandmaster si aggiudica la terza nomination agli Oscar. Ambientato agli inizi del ‘900, è basato sulla storia di Yip Man, maestro di arti marziali. Com’è consuetudine nei film di Wong Kar-Wai non mancano i bellissimi quipao di seta con stampe e ricami anche innovativi rispetto a quelli utilizzati dalla rigida cultura cinese. Non secondaria è l’importanza data dallo stilista agli abiti tipici delle arti marziali che nella loro eleganza contraddistinguono i personaggi maschili del film. O’Connor con i costumi di The Invisible woman ci conduce invece nello spirito dell’Inghilterra ottocentesca e dei suoi abiti ingombranti ed eleganti al tempo stesso, costumi attraverso cui sono ravvisabili la floridezza e la prosperità che caratterizzavano l’epoca vittoriana . Per ultima la trionfatrice Chaterine Martin, che si è aggiudicata l’Oscar grazie ai costumi per Il Grande Gatsby, che ci riportano nelle magiche atmosfere dell’America degli anni ’20. Le scelte della Martin sono ancora una volta vincenti: a collaborare con lei per i 40 abiti sono Prada e Miu Miu, che con le loro creazioni riescono a portare in scena a ritmo di jazz il lussuoso e sfarzoso stile americano del secondo decennio del ’900. Queste scelte stilistiche fanno si che gli abiti stessi prendano vita insieme ai personaggi, divenendo protagonisti della scena.
di Giulia Sterrantino