AUDREY HEPBURN: Icona di Stile di Ieri, di Oggi e di Domani

Colazione-da-Tiffany-

È l’alba a New York. Un taxi giallo accosta sul ciglio della strada. Una donna vestita in abito da sera scende, chiude la portiera e si ferma ad osservare un edificio: Tiffany. Lei cammina, dirigendosi verso la vetrina piena di gioielli. Apre un sacchetto, tira fuori caffè e croissant ed inizia a mangiare. Eccola. Solo adesso possiamo vederla. Holly Golightly, alias Audrey Hepburn, è proprio lì davanti a noi, mentre consuma la sua colazione con ancora indosso lunghi guanti neri, un abito da sera e sfarzosi gioielli. Eppure è l’alba, i negozi sono ancora chiusi e la città sembra deserta. C’è solo lei, Holly, col suo lungo abito nero ed il suo croissant mentre passeggia dirigendosi chissà dove. Lentamente, come la sua andatura, entriamo nella sua scapestrata vita e nella sua casa, dove le scarpe stanno nel frigo, i telefoni chiusi dentro la valigia ed il gatto non ha un vero nome, ma è semplicemente “Gatto”! Pochi elementi che ci aiutano a delineare quella che è la storia di una giovane ragazza che per vivere è costretta a fare la escort o, come dice lei “la toletta”, disposta a tutto pur di risolvere i suoi problemi economici, anche sposare un uomo ricco che in realtà non ama.

audrey colazione da tiffanyMa la storia a lieto fine di Breakfast at Tiffany’s non è certo un mistero, eppure è un film che ancora a distanza di oltre 50 anni riesce ad emozionare grandi e piccini. Perché? Perché all’interno di un universo come quello filmico non sono presenti solo una buona ripresa, una recitazione credibile, una tecnica invidiabile, ma molto altro ancora. Dietro ogni film si cela lo sguardo di una società che in quel determinato periodo storico occupa il proprio posto nel mondo. Dalle abitudini agli oggetti: tutto ci parla, catapultandoci in medias res su un pianeta parallelo, la cui attualità dipende dalla  volontà dello spettatore stesso. Con Colazione da Tiffany entriamo a far parte di un mondo lontano ma pur sempre attuale: quello di Holly, che al tempo stesso s’interseca con quello di Audrey. Uno, nessuno e centomila, usando una profonda espressione pirandelliana. Così i personaggi interpretati dalla Hepburn non possono fare a meno di nutrirsi della personalità raffinata che caratterizza l’attrice. Si verifica, dunque, un mescolamento inevitabile tra realtà e finzione, fino a perdere quella sottile linea di demarcazione che solitamente le separa.

Ma qualunque sia il ruolo che la Hepburn è chiamata ad interpretare, è sempre presente un filo conduttore che accomuna il suo lavoro e la sua vita: in una parola, lo stile. Parlare di stile è certamente un po’ aleatorio, in quanto non è facile inglobare in un unico termine un concetto così vasto. Eppure ancora oggi, nel XXI secolo, quando si pensa ad Audrey, la si sceglie automaticamente come paradigma ed “icona di stile” indiscusso. Il 1953 è un anno fondamentale per la Hepburn, in quanto fa un incontro che cambierà la sua vita: quello con Hubert De Givenchy. audrey clothesCome una musa per il suo pittore, l’attrice diviene tale per lo stilista, che riesce a creare grazie a lei un ideale estetico armonioso ed irraggiungibile, scevro da qualsiasi imitazione. Tagli classici, forme femminili, fantasie sentimentali: pochi elementi che rendono subito riconoscibile lo stile Givenchy. Che siano abiti di scena o della vita privata, la carriera di Audrey Hepburn è segnata dall’incontro fortuito con lo stilista, che l’accompagnerà per tutto il suo percorso artistico ed privato. Un do ut des: la grazia e l’eleganza innate dell’attrice britannica si fondono in un’alchimia perfetta allo style minimalista (come diremmo oggi) di Givenchy. E così sono nati dei capi destinati a fare la storia del costume grazie alla loro eleganza e raffinatezza, al loro essere innovativi ma al tempo stesso raffinati, tramite l’uso di colori basici come il nero, il bianco, il beige, semplicemente estratti nella loro purezza, lontani dagli accostamenti eccessivi. Seguendo queste semplici coordinate indicate anche dall’incontro con la Hepburn, nascono dei must del costume tuttora in voga: nel ’53 l’abito a sacco, nel ’58 il mantello a collo avvolgente, nel ’59 l’abito a bustino. Ma l’esempio più eclatante rimane comunque lo splendido tubino nero rivisitato che vediamo durante i titoli di testa di Colazione da Tiffany: un lungo abito da sera in raso nero italiano, senza maniche, con un leggero scollo sulla schiena, il tutto abbinato a dei guanti neri molto lunghi e fili di perle al collo. Basta guardare le sequenze iniziali del film per rendersi conto che ciò che vediamo in realtà potrebbe essere stato girato ieri; a tal proposito dichiara l’editrice Helen Cowley: «Audrey Hepburn ha davvero reso quel piccolo vestito nero un caposaldo della moda che ha retto al passaggio del tempo, nonostante la concorrenza di alcune tra le donne più eleganti e alla moda della sua epoca». Dunque dal 1961 il tubino nero entra a far parte della storia del cinema e del costume grazie alla bellissima Audrey Hepburn. petite robe noirEppure questo passepartout del guardaroba femminile ha una lunga storia alle spalle: fu Coco Chanel nel 1926 a proporlo col nome di Petit Robe Noire (tubino nero), con lo scopo di creare un capo casto ma femminile adatto ad ogni occasione. A distanza di quasi 90 anni si presenta come un vero e proprio must, un capo intramontabile che ha tenacemente attraversato diverse fasi della storia mondiale, riuscendo a sopravvivere nonostante le svariate tendenze impostesi. Costumi che mutano insieme alla storia ed alle abitudini di vivere, di pensare ed ovviamente di vestire. Non solo sulle passerelle delle sfilate, ma anche durante i red carpet o sullo schermo cinematografico, il tubino nero continua ad essere presente nella contemporaneità. Tirando le somme, è innegabile quanta strada abbia fatto il capo inventato da Coco, portato alla ribalta dall’elegante Audrey, ed in uso ancora oggi: dai più pregiati delle boutique e maison dell’alta moda a quelli più abbordabili delle grandi catene commerciali, il tubino nero è e rimarrà un capo di ieri, di oggi e di domani.

 

di Giulia Sterrantino

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