Venezia 72 – LAMA AZAVTANI/ABLUKA/ANOMALISA

LAMA AZAVTANI (WHY HAST THOU FORSAKEN ME)
(Orizzonti)

lama

Regia: Hadar Morag; Interpreti: Muhammad Daas, Yuval Gurevich; Anno: 2015; Origine: Israele, Francia; Durata: 94’

Lento come le lumache che risalgono un muro, il film della Morag (alla sua prima esperienza di feature dopo il corto presentato a Cannes) coniuga uno spunto e una materia narrativa ottimi per un cortometraggio (formato dal quale la regista israeliana proviene) con una messinscena statica e inutilmente soporifera. La costruzione psicologica del problematico protagonista – in cui convivono due culture in conflitto -, messa in atto attraverso silenzi e sguardi intensi, funziona, ma viene inevitabilmente soffocata dall’estenuante inerzia delle scene, nella quale si rischia di perdere le pur interessanti riflessioni e simbologie, nonché l’improvvisa (quanto prevista fin dall’incipit) svolta drammatica cruenta. 94′ come fossero 190′, lasciamo le inquadrature immobilmente eterne a chi le sa girare con cognizione di causa (Tsai, sto arrivando).
(Carlo Gandolfi)

 

ABLUKA (FRENZY)
(Concorso)

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Regia: Emin Alper; Interpreti: Mehmet Özgür, Berkay Ates; Anno: 2015; Origine: Turchia, Francia, Qatar; Durata: 119’

La Turchia si conferma terra di cinema vivo e potente. Peccato che Abluka non centri pienamente il bersaglio. La paranoia di uno Stato – qui alla ricerca del bombarolo che vive sotto (ogni) casa – che si riflette in quella dei cittadini non sarà tema originale ma è sicuramente capace di originare testi interessanti. Dopo un inizio barcollante che propone frettolosamente le psicologie dei personaggi, il film ingrana, sviluppando atmosfere cupe da buio della ragione, tra passaggi onirici in continuità che poi si rivelano essere spaesanti (almeno nell’intenzione) rimbalzi cronologici, mescolando progressivamente realtà e immaginazione, e avvalendosi di un accuratissimo lavoro sulla componente acustica, che acuisce l’angoscia paranoide e la trasmette ancor più fastidiosamente al pubblico. Degne di nota le scene dove la macchina da presa ruota per mantenere come fulcro il protagonista, focalizzando piano sonoro e visivo sulle distorsioni messe in atto dalla sua mente, il film ma paga l’eccessiva lunghezza e si rifugia in un facile finale aperto. Faticoso (a tratti), senza un rispettivo appagamento.
(Carlo Gandolfi)

ANOMALISA
(in Concorso)

anomalisa

Regia: Charlie Kaufman, Duke Johnson; Voci: Jennifer Jason Leigh, David Thewlis, Tom Noonan; Anno: 2015; Origine: USA; Durata: 90′

Uno scrittore si reca a Cincinnati per tenere una conferenza su un suo bestseller dedicato alle aziende e, dopo aver tentato invano di ricontattare una ex fidanzata del posto, si trova a passare la notte con Lisa, una sua fan incontrata in albergo.
Kaufman, affiancato da Duke Johnson, porta a Venezia l’atteso figlio della fortunata campagna di crowdfunding lanciata nel 2012 su Kickstarter: un film-sfida interamente realizzato in stop motion. Il regista abbandona per un attimo le trame intricate a cui ci ha abituati, ma non l’amore per il linguaggio e la retorica (nel senso lato e positivo del termine) e il tema delle relazioni umane. In una piatta linearità – meglio, circolarità – degli eventi, Lisa-Anomalisa è l’eccezione, la voce diversa tra mille uguali (eccetto lei, tutti i personaggi sono doppiati da un uomo, Tom Noonan), l’anomalia di cui innamorarsi follemente. Follemente e fugacemente, perchè l’amore, per Kaufman – si sa – è routine e dopo un po’, inesorabile, tutto finisce per suonare lo stesso.
Tutto è retoricamente collegato (per analogia, sineddoche, corrispondenza, metafora), tutto ci parla: dal volto robotico dei puppets, al nome dell’hotel (Fregoli è anche una sindrome che vuole la sua vittima perseguitata sempre dalla stessa persona), all’umorismo sottile delle frasi e dei gesti. Non avreste mai pensato che dei pupazzetti in stop motion – con tanto di realistiche scene di sesso – potessero emozionarvi. Eppure.
(Elena Cappozzo)

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