Serie TV – FARGO

 

 

WHY.

5 MOTIVI PER GUARDARLA:

  • Fargo STATE OF MIND

  • Performance attoriali eccezionali

  • Ottima sceneggiatura

  • Ironia alla Coen

  • Colonna sonora effetto remember

LE FRASI:

«What if you’re right, and they’re wrong?»

«Just one word. Yes or no.» Lorne Malvo

«Maybe you heard of me: the Butcher of Luverne» Ed Blumquist

«Son, you got yourself a woman problem. […] See, the male of the species has got the potential for greatness. Look at your kings of old. Napoleon, Kublai Khan, Samson. Giants made of muscle and steel. But these women, even in those Bible movies, you see a Delilah and, uh, Scheherazade. I want to tell you my own private belief here. I think Satan is a woman. Think about it.» Dodd Gerhardt

«Camus says knowin’ we’re gonna die makes life absurd.» Noreen Vanderslice

 

FargoPOSTERCreatori: Noah Hawley
Regia: Noah Hawley, Adam Bernstein, Randall Einhorn, Michael Uppendahl (principali)
Sceneggiatura: Noah Hawley, Bob DeLaurentis (principali)
Interpreti principali: S1 Billy Bob Thornton (Lorne Malvo), Martin Freeman (Lester Nygaard), Allison Tolman (Molly Solverson), Colin Hanks (Gus Grimly); S2 Patrick Wilson (agente Lou Solverson), Jesse Plemons (Ed Blumquist), Kirsten Dunst (Peggy Blumquist), Jean Smart (Floyd Gerhardt), Ted Danson (sceriffo Hank Larsson)
Anni: 2014- in produzione
Origine: USA
Emittente televisiva: FX (in Italia trasmessa da Sky Atlantic)
Stagioni: 2
Numero episodi: 10 + 10

 

fargo-season-1-mollyS1. Lester Nygaard, assicuratore scontento della propria vita lavorativa e coniugale, incontra casualmente il sicario Lorne Malvo che lo aiuta a vendicarsi di un ex compagno di scuola che si prende gioco di lui. Questa accidentale collaborazione lo comprometterà inesorabilmente, legandolo ad una serie di omicidi che coinvolgeranno la sua cittadina e metteranno presto sulle sue tracce la giovane poliziotta Molly Solverson e l’agente Gus Grimly impegnati ad indagare su una catena di reati commessi in tutto lo stato.

 

fargo-season-2-castS2. (prequel della prima) Fine degli anni ’70. La giovane coppia di sposini Ed e Peggy si ritrova, suo malgrado, coinvolta all’interno di una lotta tra clan per il controllo del territorio. Una regolazione di conti vede combattersi in una guerra senza esclusione di colpi gli uomini della famiglia Gerhardt e quelli della mafia di Kansas City. Mentre la vicenda si complica progressivamente, il giovane agente di polizia Lou Solverson, padre della piccola Molly, indaga sugli avvenimenti.

 

WHAT. Premiata agli Emmy, ai Golden Globes 2015 e agli ultimi Critics’ Choice Awards come miglior miniserie, Fargo è indubbiamente uno dei prodotti televisivi più riusciti degli ultimi tempi. Composta per il momento di due stagioni (la terza è in produzione), è stata concepita come serie antologica con storie distinte, seppure sottilmente legate tra loro. Come suggerisce il titolo, trae ispirazione dall’omonimo film del 1996 dei fratelli Coen (coinvolti qui in veste di produttori esecutivi) anche se del lungometraggio originale, eccettuata qualche piccola allusione, mantiene solo atmosfera, ambientazione e registri.

Dopo un primo tentativo, risalente al ’97 e subito naufragato, di adattare Fargo per il piccolo schermo (fu Kathy Bates allora a dirigere il pilota), la FX riprende in mano il progetto e lo affida a Noah Hawley. Allo scrittore/sceneggiatore (nel suo curriculum la serie Bones), viene chiesto di creare qualcosa di dark, moralmente ambiguo e – in perfetto stile Coen – non prevedibile. Hawley mischia violenza, umorismo e dramma con punte di misticismo e filosofia e crea una serie che è in grado di consolare più che degnamente gli orfani di True Detective e Breaking Bad, di cui ricorda a tratti i toni.

HOW. Come nel film originale, gli episodi della serie si aprono con una fasulla indicazione che attesta la veridicità dei fatti narrati: il “trucchetto”, svelato a suo tempo dai Coen, diventa una sorta di marchio, un orpello che fidelizza e al contempo gioca con lo spettatore.

La sceneggiatura lega assieme diverse sottotrame che emergono nel corso della narrazione, scioglie i nodi e assembla le fila così come, parallelamente, le forze dell’ordine (rappresentate da Molly nella prima stagione, da Lou nella seconda) mettono assieme i pezzi dell’intricato caso che, nella vicenda, si ritrovano a dover risolvere. Hawley e il suo team di scrittori sono abili nel dare dinamismo al racconto e nello schivare il pericolo del fisiologico “stallo del quinto episodio”, creando movimento fino al decimo e finale. Le diverse storie, all’inizio separate, convergono a metà della narrazione in un’unica linea che tuttavia non continua piatta e parallela all’asse temporale ma si impenna in un’iperbole fitta di colpi di scena.

La sceneggiatura, senza risultare forzata, riesce a mantenere un ritmo – e questo vale soprattutto per la seconda stagione – incredibilmente incalzante, persino quando (dal sesto all’ottavo episodio) ci si aspetterebbe una sorta di rallentamento. Hawley, d’altra parte, tocca sapientemente molteplici e complessi nuclei tematici che dischiude via via, mantenendo così vivo l’interesse degli spettatori. Il riscatto personale e sociale, il Male radicato nell’individuo e nella società, la famiglia, la predestinazione, il conflitto generazionale, la disparità sessuale, il “diverso”, sono tutti temi trattati intelligentemente attraverso un’ottima costruzione dei personaggi, un uso accorto delle metafore e, soprattutto, con un’ironia (molto Coen) che toglie quella gravità in cui sarebbe stato facile scivolare. Un’ironia che sdrammatizza e prende in giro l’America, prima di tutto, terra di libertà e sogni che in realtà si rivela corrotta, ottusa e spietata («It’s America brother, we don’t do kings.» «We do. We call it something else».)

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Da “outsider” ad “outlaw” il passo è breve e chi è ignorato dal sistema (inetti, donne, minoranze etniche, disabili) si fa subito interessante protagonista della storia. “We are not alone” dice un adesivo che mette in guardia dagli UFO in un negozio di Sioux Falls (S2), quando, in realtà, i veri “alieni” sono proprio tutte queste figure invisibili alla società. Le numerose citazioni (letterarie, cinematografiche e bibliche), il sommarsi delle metafore e dei simboli più o meno espliciti disseminati lungo la narrazione (la ferita alla mano di Lester come la coscienza che tormenta l’individuo, il cancro di Betsy come il Male che divora l’America), costruiscono diversi livelli di lettura delle vicende e contribuiscono alla completa risoluzione e comprensione di esse. Ironico come la cecità agli indizi sia, innanzitutto, degli spettatori stessi.

Dal punto di vista registico, interessante notare come nella seconda stagione si sia giocato con soluzioni originali e peculiari del periodo in cui avvengono i fatti narrati. (Una cura che si riflette anche sull’aspetto tecnico dato l’utilizzo di lenti originali degli anni ’60). Numerosi sono gli split screen che danno modo di raccontare l’azione attraverso molteplici punti di vista e che, soprattutto, donano un certo ritmo e tensione.

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La colonna sonora, composta da una serie di potenti temi scritti da Jeff Russo nella prima stagione, esplode nella seconda, con pezzi anni ’60/’70 e cover di brani presenti in diversi film dei Coen. Hawley (che nasconde un passato da musicista) ha saputo guidare sapientemente anche questo aspetto, contribuendo a dare un mood distintivo.

WHO. I personaggi sono uno dei punti di forza della serie. Costruiti intelligentemente e in maniera tridimensionale, dispongono dell’ottima capacità recitativa dei loro interpreti. Brillano, nella prima stagione, Lester/Martin Freeman e Lorne Malvo/Billy Bob Thornton. La determinazione, l’abilità e la malvagità insita e cieca del serial killer (personaggio terrificante nella sua silenziosa operosità) fanno da contraltare all’ingenuità e alla goffaggine dell’inetto assicuratore, che si ritrova per caso – ma non troppo – dall’altra parte. I volti di entrambi gli attori, l’uno immutabile e impenetrabile (che rivediamo – forse non a caso – nell’indiano Hanzee, personaggio chiave della seconda stagione), l’altro continuamente segnato dagli avvenimenti, rendono perfettamente la specularità dei due personaggi, che, per ragioni differenti, si ritrovano ad agire in maniera moralmente riprovevole.

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Il Male ha sempre una doppia faccia e se le azioni di Malvo (S1) e dei clan Gerhardt e Kansas City (S2) sono intenzionali e apertamente condannabili, quelle di Lester (S1) e di Ed e Peggy (S2) sono quasi giustificabili perchè conseguenza di specifici eventi. [*spoiler* In questo senso è interessante osservare come Ed, in particolare, da ragazzone buono e ingenuo muti quasi in un personaggio horror: uno spietato “Macellaio” che usa mannaia e trituratore.] I villains non sono in fondo persone normali a cui è capitato di diventarlo? O la malvagità dev’essere per forza insita nell’essere umano? Il taglio ironico con cui è affrontata la narrazione non permette un giudizio perentorio.
Puliti e quasi fanciulleschi, i volti invece dei personaggi positivi, l’agente Molly/Allison Tolman e l’agente Gus/Colin Hanks nella prima stagione, l’agente Lou Solverson/Patrick Wilson nella seconda.

Interessanti sono anche il confronto generazionale (evidente in S1 tra Molly e i suoi colleghi, e in S2 tra padri e figli del clan Gerhardt), e le figure femminili, a cui è riservato uno spazio particolare. Se da un lato sono i maschi i veri protagonisti dell’azione, alle donne è lasciato il campo del pensiero. È grazie a Molly infatti (al lavoro pure dal letto d’ospedale) che le indagini possono arrivare a risolversi o tramite le indicazioni della risoluta matriarca Gerhardt che i figli maschi agiscono. Silenzioso è il loro muoversi rispetto agli eventi principali, ma efficace: nella seconda stagione in particolare, significativi sono i ruoli di Peggy/Kirsten Dunst (“mite” mogliettina che sogna una nuova vita in California), di Simone/Rachel Keller (figlia ribelle di uno dei Gerhardt) e Betsy/Cristin Milioti (la moglie di Lou, malata di cancro).

WHERE. La vicenda si svolge tra Minnesota, Nord Dakota e Sud Dakota. L’ambientazione ha un ruolo fondamentale e sebbene, quasi paradossalmente, Fargo non sia teatro principale degli eventi, la città che dà titolo alla serie è indubbia protagonista in quanto “state of mind”. Ad essa è collegato un particolare mood, in questo senso strettamente connesso al film dei Coen, e un determinato immaginario. Un luogo segnato dal tempo (il paesaggio urbano e rurale muta a seconda del periodo d’ambientazione) e contemporaneamente fuori dal tempo, in cui dinamiche e avvenimenti si ripetono. L’impietoso clima rende ostile il territorio in cui gli uomini, come animali, si muovono e combattono per la sopravvivenza: la neve poi – onnipresente – da un lato copre, dall’altro evidenzia, e quando il bianco si colora di sangue, anche per i più abili diventa difficile nascondere le macchie.

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About Elena Cappozzo

Dopo la laurea in Filologia Moderna a Padova, studia Film Writing a Roma. Sognando di scrivere “per”, scrive “di” (cinema) qua e là, accendendo ogni tanto un cero a San...SetBlv. Il grande schermo è il suo primo, assoluto amore ma le capita con discreta frequenza di tradirlo con quello della tv e persino con quello del pc (quella da Youtube e serie tv è in realtà una dipendenza piuttosto grave, no judging.)

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