Parthenope nasce letteralmente dal mare come il mito della città di Napoli di cui porta il nome e come Napoli si muove attraverso il Tempo, dagli anni Cinquanta ai giorni nostri, con incedere sensuale, sfuggente, ammiccante e respingente. La sua esuberante bellezza ammalia i personaggi più disparati, tutti figli di questa città estroversa e allo stesso tempo misteriosa della quale rappresentano le sue mille sfaccettature.
Anni fa mi trovavo ad una mostra e stavo osservando una fotografia bella ma al contempo ‘perturbante’. Era un’immagine inconsueta che non riuscivo a capire se rappresentasse una foglia, una parte del corpo o altro, né comprendevo perché nell’attrarmi mi turbasse così tanto.
Il fotografo, che era anche una persona a me molto cara, alla mia domanda su come dovessi interpretarla mi rispose seccato: “Smettila di cercare sempre di analizzare, di cercare di capire sempre e solo con la testa. Impara a vedere con la pancia”
Solo tanto tempo dopo ho capito cosa intendesse davvero.
Se osservi con la mente, cerchi in ciò che vedi quello che aderisce al tuo sistema conoscitivo, a ciò di cui hai fatto esperienza per poterlo dissezionare e catalogare.
Un’opera d’arte, sia essa fotografia, film o altro non può mai essere capita totalmente.
Così è Napoli. Così è Parthenope. Così è Sorrentino.
Sfugge ad un’interpretazione. Forse per questo motivo ti spiazza. O si ama o si odia.
Se googlate Parthenope, alcuni dei titoli che compariranno sul web saranno: “Analisi e spiegazione del film di Sorrentino”, “Spiegazione del finale”, “Qui di seguito la spiegazione del film di Sorrentino”, ma ‘spiegare Sorrentino’ è quasi un ossimoro se per spiegare si intende etimologicamente “aprire completamente qualcosa”. Quel completamente è impossibile.
A questo mi sono dovuta arrendere anche io che amo Sorrentino e allo stesso tempo sono il tipo di spettatrice/osservatrice che vuole sempre capire tutto ciò che sta vedendo.
Parthenope, come tutte le pellicole di Sorrentino, è un film visivamente potente, ma rispetto ai precedenti, è soprattutto un film sul vedere.
‹‹Vedere, ma affiancati da un certo tipo di sensibilità che deve avere una forma di originalità che ti consente di creare un universo poetico e ti fa tradurre quello che hai visto in un saggio, un libro, un film, una poesia›› lo spiega chiaramente lo stesso regista nella sua interessante intervista con Malcom Pagani nel Podcast “Dicono di te” di cui segnalo l’ascolto su Spotify.
Ascoltarlo mi ha aiutato a comprendere meglio il film attraverso le parole stesse di Paolo Sorrentino che racconta la sua poetica visione della vita, dell’amore, del Tempo. Visione poetica in quanto è visione che produce poesia dell’immagine.
Nella sua intervista Sorrentino non spiega nulla, ma racconta con una grande onestà intellettuale il suo modo di pensare e quindi, aggiungerei, di scrivere e girare un film; questo film in particolare. E lo fa nel modo che più gli si addice, addentrandosi nei meandri di concetti profondi, immensi e forse per questo motivo complicati eppur semplici a un tempo.
Lo fa citando Napoleone (“Dal sublime al ridicolo è un passo”), Nietzsche (“Si diventa quello che si è”) ma anche Kierkegaard (i tre stadi della vita: estetica, etica e religiosa), Roth e Céline che ritroviamo nella scena di apertura di Parthenope con la sua famosa frase: “Come è enorme la vita, ci si perde dappertutto”.
Ci si perde infatti nel film Parthenope come ammaliati dal canto di una sirena, nomen omen, che in-canta senza bisogno di cantare ma semplicemente con lo sguardo, quello che regala ai suoi spasimanti e quello che concede a noi spettatori quando, sfondando la quarta parete, fissa in camera.
La vediamo muoversi a suo agio nella babele della vita e della giovinezza con occhi così grandi da contenere l’intero mare di Napoli, sempre accesi da una viva e sincera curiosità come afferma durante un esame universitario dinnanzi al professor Marotta, interpretato dal sempre convincente Silvio Orlando: “Io non so niente, ma sono curiosa di tutto”.
Lo dice con spontanea leggerezza e un accento posillipino che persuade, pur essendo in realtà l’attrice Celeste Della Porta nata e cresciuta a Milano.
A inizio film la vediamo uscire dall’acqua come una Venere di Botticelli; la osserviamo poi nel suo personale coming of age quando, giovane donna, indossa tailleur e trucco perdendo parte della sua fresca bellezza. E infine, la ritroviamo trasformata in una splendida Stefania Sandrelli che ne incarna la sua declinazione âgée. Mentre vede sfilare davanti a sé, in via Partenope (appunto), il carro con i tifosi del Napoli che festeggiano il terzo scudetto della squadra, nei suoi occhi intravediamo ancora quel bagliore, il curioso stupore di quando era giovane.
E lì, in quel curioso stupore, risiede lo slancio vitale che non dovrebbe mai mancare e che lei ha verso tutti i personaggi con i quali entra in contatto, anche i più bizzarri come il figlio nascosto del professor Marotta, una sorta di Buddha bambino fatto di acqua e sale che fa pensare ai versi del poeta Gibran: “Dev’esserci qualcosa di insolitamente sacro nel sale, se è contenuto nelle nostre lacrime e nel mare”
La stessa candida curiosità lei la riserva a personaggi come il Cardinale (Peppe Lanzetta), il boss Criscuolo (Marlon Joubert), l’attrice Greta Cool (Luisa Ranieri), iperboliche rappresentazioni di una città come Napoli che unisce sacro e profano, alto e basso, capace di racchiudere l’intera costellazione di difetti che accomuna i napoletani e che Greta Cool elenca come se stesse “sfilando la corona del Rosario”, ad una scioccata platea adunata attorno a lei per celebrarla.
Prima di vedere Parthenope, ho evitato di ascoltare e leggere qualsiasi cosa riguardasse il film, finanche la trama perché volevo arrivare con occhi ‘vergini’ alla sua visione; ma quando sono andata a Napoli per il ponte dei Morti, non si parlava di altro, l’avevano visto già tutti tranne io. Ho captato le sensazioni, gli umori delle persone che commentavano il film e adesso che scrivo mi tornano come un’eco e ne capisco il senso. A qualcuno non era piaciuto perché sfacciatamente blasfemo nella scena di sesso tra il Cardinale e Parthenope vestita con il tesoro di San Gennaro, ad altri perché Napoli non appare sotto una bella luce. Molti l’hanno ritenuto eccessivo.
Io stessa all’uscita dalla sala di un desolato UCI Cinema, appena rientrata a Milano, ero come stordita e non sapevo dire se mi fosse piaciuto del tutto o meno. Poi ho ricordato quella fotografia di cui mi parlava il mio amico fotografo e ho elaborato con la pancia quello che ho visto.
Sorrentino ama sfidare l’eccesso, il disturbante, il grottesco. Per sua stessa ammissione un film deve essere disturbante, invasivo, straripante, eccessivo. Devi uscire stordito dalla sala.
“A una certa età bisogna però non solo vedere per vedere perché altrimenti vedi ciò che hai già visto, ma bisogna stupirsi” dice ancora nell’intervista.
E in questo lui, Paolo Sorrentino, riesce sempre.
Ivana Mennella
About Ivana Mennella
Partenopea di nascita e spirito, ma milanese di adozione, si trasferisce all’ombra della bela Madunina nel 2007. A 10 anni voleva fare la regista. A 20 la traduttrice per sottotitolaggio e adattamento dialoghi. A 30 la sceneggiatrice. A 40 sa con certezza una sola cosa ossia che il cinema è ancora e resterà sempre la sua più grande passione.