ARIAFERMA

Titolo originale: Ariaferma; Regia: Leonardo Di Costanzo; Interpreti: Toni Servillo, Silvio Orlando, Fabrizio Ferracane, Salvatore Striano; Origine: Italia; Anno: 2021; Durata: 117 minuti.

Un vecchio e storico carcere sta per essere dismesso. Tutti i detenuti vengono trasferiti tranne una dozzina di loro costretti a restare ancora lì a causa della temporanea inagibilità della nuova struttura che dovrebbe accoglierli. I confini dello spazio carcerario si restringono e se ne sfumano i contorni come quelli delle regole interne stabilite fino ad allora.

Domenica mattina la sala Excelsior, la più grande del cinema Anteo di Milano, è gremita di gente. Finalmente dopo quasi due anni di distanziamento si torna alle modalità di fruizione della sala all’epoca pre-COVID con il 100% della capienza.

Si proietta Ariaferma, terzo lungometraggio di Leonardo Di Costanzo che, insieme agli attori Toni Servillo e Silvio Orlando, interviene dopo la proiezione per un’interessante lezione di cinema.

Sono anche loro colpiti dal vedere di nuovo la sala così piena. È la prima cosa che dicono durante l’intervista con il vicedirettore di SKY TG 24, Omar Schillaci. Ogni singolo posto è occupato da spettatori entusiasti di aver assistito alla visione di un film potente e necessario.

Anni che frequento le sale cinematografiche e non ho mai visto un pubblico così partecipe e coinvolto che affolla di domande e complimenti attori e regista, segno che il film entra dentro, com-muove e s-muove le coscienze sollevando quesiti importanti.

Per girare un film come questo ci vogliono una grande sensibilità e lucidità intellettuale, caratteristiche che il regista Leonardo Di Costanzo ha già dimostrato di avere nei suoi precedenti lungometraggi L’intervallo e L’intrusa che consigliamo di recuperare e guardare.

La fotografia firmata da Luca Bigazzi e l’impianto sonoro curato dal compositore Pasquale Scialò si compenetrano in perfetta armonia con la sceneggiatura e l’attenta regia, creando un’opera che si insinua dentro attraverso gli occhi e resta in testa e nel cuore.

Il film è ambientato all’interno dell’ex carcere San Sebastiano di Sassari immerso tra le montagne sarde. Un luogo che sembra sospeso fuori dal tempo e dal mondo.

In questo carcere in dismissione c’è un gruppo di 12 detenuti e 6 guardie carcerarie costrette a restare lì fino al nullaosta da parte del Ministero per spostare in nuovi istituti penitenziari anche gli ultimi detenuti rimasti.

Gli spazi si riducono per ragioni pratiche: vengono chiuse le altre ali della struttura e i 12 detenuti vengono riuniti nelle celle disposte a cerchio nel panottico del carcere.

La direttrice del penitenziario, trasferita anch’essa in altra sede, dà l’incarico di gestire la situazione a Gaetano Gargiulo, un sempre intenso Toni Servillo.

Come un Argo Panoptes che ha cento occhi, Gargiulo osserva e controlla tutti e in particolare Carmine Lagioia, leader naturale dei detenuti, interpretato da un bravissimo Silvio Orlando totalmente in parte, nonostante non abbia mai interpretato un ruolo di questo tipo.

Il rapporto tra i due è fatto di avanzate e ritirate come in una sorta di invisibile (neanche troppo) guerra psicologica e morale combattuta tra rappresentanti di due opposte, ma solo in apparenza, barricate.

“È dura stare in galera, eh?” domanda, in realtà affermando, Lagioia a Gargiulo che gli risponde “Sei tu in galera, non io.” negando così di avere in comune quel claustrofobico spazio in cui condividono molto più dell’ariaferma che respirano.

Quando la direttrice va via, viene meno l’Istituzione e di conseguenza anche i ruoli decadono.

Gargiulo da mero esecutore diventa decisore, come dice anche il regista nell’intervista.

E la sua scelta è aprire un varco, mostrare a sé stesso e agli altri che la vendetta, la condanna non sono l’unica soluzione. “Si può rompere la catena di violenze anche con un semplice gesto.” dice Toni Servillo al pubblico in sala che lo ascolta in religioso silenzio.

Gargiulo concede a Lagioia prima di riaprire la cucina del carcere e preparare i pasti per tutti, poi di fumare una sigaretta all’aperto e infine di raccogliere insieme le verdure nell’orto abbandonato.

Sarà lì che scopriamo da una semplice frase di Lagioia “Mi sono sempre vergognato di dire a mio fratello che sono nel carcere con il figlio di Oreste il lattaio.” che il mondo, il passato, da cui provengono lui e Gargiulo è lo stesso.

Da questo si evince la forza di una sceneggiatura, scritta a sei mani da Leonardo Di Costanzo, Bruno Oliviero e Valia Santella, che rivela senza dire.

“Show, don’t tell.” diceva Billy Wilder e qui si mostra il non detto, si allude a più profondi significati, alle storie personali di ognuno dei personaggi attraverso anche solo l’espressione del volto o un movimento di camera.

Tra i detenuti si distingue Fantaccini, giovane dallo sguardo smarrito che guadagnandosi l’affetto e l’attenzione di Gargiulo e Lagioia sarà un anello di congiunzione tra loro due e di riflesso tra Gargiulo e gli altri detenuti.

In una delle ultime e toccanti scene del film, carcerieri e carcerati sono seduti assieme a tavola.

È saltata la corrente per un forte temporale, Gargiulo ha concesso che unissero tutti i tavolini al centro del panottico per cenare alla luce delle lanterne e siede insieme a loro. Si alzano i bicchieri per improvvisare un brindisi scandito dalle parole di uno dei detenuti stranieri che racconta una favola del suo paese natio.

“C’era una volta un angelo molto bello e molto vanitoso. Dio, infastidito dalla sua vanità, decise di punirlo.” Inevitabilmente il pensiero corre a Lucifero, angelo caduto perché si ribella al volere di Dio.

Lucifero significa “colui che porta la luce” e quando l’elettricità ritorna d’improvviso a illuminare simbolicamente quello spazio circolare che li riunisce a tavola mostra che sono tutti uguali, seduti al medesimo desco.

Tra le domande in sala c’è quella di uno spettatore che chiede a Di Costanzo come mai la scena successiva a quella della cena in cui vediamo una suggestiva inquadratura dall’alto dello spazio circolare vuoto non sia stata scelta come scena finale del film, essendo esteticamente perfetta.

La risposta del regista richiama un sentito applauso da parte dell’intera sala.

“Sarebbe stato facile finire così, ma io ho rispetto del mio film.”, rispetto di quello che vuole comunicare che non è certamente la comoda spettacolarità.

Preferisce finire il film riprendendo la storia di Fantaccini, figura che lui stesso definisce “cristica” e chiudere con un primo piano di Gargiulo, l’uomo dal quale parte il cambiamento, la possibilità di rispondere in maniera diversa perché, come afferma Di Costanzo, “Fin quando la punizione sarà la risposta, le rivolte in carcere ci saranno sempre.”

Molti degli attori del film non sono professionisti e questo ha comportato qualche difficoltà nella recitazione, ci raccontano Toni Servillo e Silvio Orlando. Tuttavia, le regole anti COVID hanno costretto gli attori, nessuno escluso, a stare insieme nello stesso albergo e ciò ha permesso di creare una sinergia tra tutti loro, nonostante la diversa provenienza geografica, professionale e privata.

Sala Excelsior del cinema Anteo durante la lezione di cinema Di Leonardo Di Costanzo con gli attori Toni Servillo e Silvio Orlando

Silvio Orlando, con la coinvolgente simpatia che lo contraddistingue, parla del suo ruolo e di come si fosse sentito inizialmente quasi a disagio a interpretare un personaggio così distante da sé stesso e dai ruoli interpretati finora.

“Io e Toni abbiamo un’esperienza teatrale quindi abbiamo questa mania del controllo” dice “In realtà io ci credo sempre meno in questo controllo, credo di più in una cosa irrazionale. Credo in un Dio del cinema che visita i set. Non tutti i set perché non è onnipresente, anzi, è molto selettivo… Più andavo avanti e più mi allontanavo dalla possibilità di rappresentare quella cosa lì che non conosci. E poi è arrivato il Dio del cinema.”

Effettivamente entrambi gli attori sono in stato di grazia.

About Ivana Mennella

Partenopea di nascita e spirito, ma milanese di adozione, si trasferisce all’ombra della bela Madunina nel 2007. A 10 anni voleva fare la regista. A 20 la traduttrice per sottotitolaggio e adattamento dialoghi. A 30 la sceneggiatrice. A 40 sa con certezza una sola cosa ossia che il cinema è ancora e resterà sempre la sua più grande passione.

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