TELLEGRAMMI (o di CG lontano dai suoi catasterismi)/7

Werk ohne Autor: Lungo per il gusto di esserlo (come troppi altri film di questa edizione), prevedibile come un Max Richter riciclato, vano e vanitoso, ottuso e semplicistico, smielato e didascalico. Di nuovo: meglio evitare i protagonisti pittori se non si ha il coraggio di affrontare un dibattito sull’arte e sul medium (come peraltro il titolo suggerirebbe) e si preferisce imbastire quello sulla Storia a mo’ di melodrammetto televisivo ribollito ed edificante. Il protagonista sarebbe, si dice, il primo ad aver concepito un’opera senza autore (l’ennesimo svarione sull’arte contemporanea che viene propinato, qui se non altro traendo conclusioni del tutto incongruenti – è evidente il contrario – e dando almeno in extremis qualcosa su cui pensare); von Donnersmark forse non è il primo, ma sicuramente è un ottimo esempio di (sedicente) autore senza opera. “Anonimo e fuori fuoco”

Vox Lux: Fenomenale, densa, lucidissima analisi delle fondamenta storiche, politiche, sociologiche del XXI secolo, come The Childhood of a Leader aveva scandagliato quelle del XX. Corbet è un gigante dell’allegoria e un sapiente architetto di stili, il cast è a dir poco esplosivo (Willem Dafoe narratore compreso), la musica – variegata e autoironica – è il sollievo che ci voleva dopo l’insensata e svogliata partitura di Werk ohne Autor. “A star is born (again)”

Jinpa: Gli Orizzonti di cui sentivamo la mancanza. Minimale, desertico, circolar-concentrico, speculare; con i suoi binomi – doppi antitetici e sintetici – ed esorcismi karmici, può non essere il preferito di CG? “Predestinato”

Ozen: Ma arriva il kazako a rimescolare le carte in tavola (in una Mostra di qualità così epocale avrei rivisto solo un po’ la calendarizzazione – guardare Lanthimos e Cuarón uno dietro l’altro per poi dover ammortizzare con sequenze decisamente meno degne è indubbiamente emozionante, ma dieci giorni di montagne russe (o kazake) sono un po’ troppi). Le inquadrature di Wes Anderson, i toni proprio del primo Lanthimos e un fiume stratificato di simboli per questa intensa disamina del potere, del rancore, della colpa e dell’espiazione. “Impetuoso”

Nuestro Tiempo: Aspettative altissime, ma dopo quasi 180 minuti – non tutti davvero essenziali – di proiezione rimane un vago retrogusto amaro di insoddisfazione. La dissezione/dissoluzione della coppia è affrontata con cognizione di causa e preziosa poesia (e col valore aggiunto della sua incarnazione in Reygadas stesso e consorte), ma soprattutto sul piano visivo manca spesso il vero guizzo. “Da reig(u)a(r)dare, a suo tempo”

American dharma: Dopo Wiseman, un altro pilastro del documentario a chiudere in bellezza forse la migliore giornata del festival, col suo opposto stile roboante e avvincente (complice la divertita colonna sonora). “Tr(a)um(p)bahn(non)”

L’Elliofannia del giorno è il binomionimo Ellie (Elisabeth) / Ellie (Eleanor), coprotagoniste candide e luminose rispettivamente di Kurt il pittore vondonnersmarkiano e di Cel(l)este la stElla corbetiana.

(nella foto: il tema del prossimo documentario di Minervini)

 

About Carlo Gandolfi

Colui che scruta, cromaveglie di luce, onirosuoni.

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