TELLEGRAMMI (o di CG lontano dai suoi catasterismi)/6

Dragged across concrete: Delusione scottante (andrà rivisto, nella speranza di averlo frainteso), ma confesso di aver confidato stamattina in una sveglia poliziesca arguta e cruenta (considerato il precedente e folgorante Brawl in Cell Block 99, dall’escalation preannunciata eppure sorprendente), trovando invece puntualmente il contrario: banale, scomposto, compiaciuto nella sua vuota ed estenuante lentezza (realistica, visti gli appostamenti e gli stalli messicani, ma drammaticamente controproducente), probabilmente autoironico (se si ha la forza di tenere sempre aperte palpebre e orecchie per cogliere tutto), ma personalmente fatico – nonostante l’impegno da vero fanboy – a trovargli meriti sufficienti. “Concretamente insalvabile”

At Eternity’s Gate: La biografia di pittore è un vero e proprio genere, frequentato spesso da grandi nomi (Leigh, Jarman, Greenaway) e facilmente declinabile – ancora una volta – in chiave metatestuale. Lo strato di pittura è qui però singolo, piatto e monotono, pennellato da una camera a mano che cerca soluzioni visive e cromatiche adeguate allo stato psichico del pittore, ma finisce col tratteggiare un bozzetto oleografico e superficiale, predigerito, didascalico, scolastico. Musica ridicola. “Cartoline”

Blood Kin: Come i legami familiari influenzano e sono influenzati da svolte drastiche (e qui tragiche) nella vita dei singoli. Una volta spremuto il caso di cronaca, lascia un forte senso di inconsistenza. “Anemico”

Magic Lantern: Vale la pena disertare (con più di una lacrima) il bis del 35mm nemesiano per vedere un’altra cappElle(go)ria labirintica, firmata da Naderi in morte dell’amata pellicola. Celebrazione giocosa e appassionata come l’amore di due ragazzi, struggente come i minuti contati della bobina che, una volta terminata, si staccherà inevitabilmente dal proiettore, imprimendo il loro ultimo incontro, freddo ma rievocabile (restaurato) in ogni momento, sullo schermo digitale di un cellulare. “Can(t)on (5D Mark III) del cigno”

A letter to a friend in Gaza: La Sala Giardino, non è un Eden, anzi. E riuscire a seguire, seduto in bolgia sold out su una poltrona bonsai brevetto Vlad l’Impal(l)atore, 35′ di letture e intarsi non narrativi è un’impresa incompatibile con i miei ipnodebiti. “Destinatario assente”

A Tramway in Gerusalem: Con simili premesse, il lungometraggio a seguire viene così percepito: 1/3 crisi micidiali di (claustro)agorafobia; 1/3 revisioni oniriche pittoresche delle scene che passano sdoppiate e nebbiose sullo schermo, mescolate a suggestioni precedenti (panoramica in BN sulla strega Emma Stone che pattina cantando una canzone pop ungherese perché ha trovato l’oro); 1/3 intersezioni culturali scritte con grande maestria, ironia e sensibilità dal sempre eccentrico, audace e poliedrico Amos Gitai. “Tra(u)mbahn(dito dal paradiso)”

L’acusada: Darsena piena, posizione in seconda fila laterale (la distorsione prospettica è talmente massiccia che renderebbe visivamente sperimentale (e interessante?) perfino un Bradley Cooper; l’unica è proiettarsi astralmente al centro della sala e immaginare cosa si vedrebbe da lì), non sono mai stato così felice di incappare nell’immancabile porcheria processuale giallotelevisiva inspiegabilmente in concorso e poter recuperare così qualche preziosa decina di minuti di sonno. Però c’è un puma (e un Gael Garcia Bernal che mi sono perso). “Senza possibilità di appello”

Monrovia, Indiana: Il primo Wiseman non si scorderà mai. La proporzione aurea tra realistica invisibilità e costruzione precisa, arguzia e sensibilità, località e universalità, discrezione e entomologia, immedesimazione e aberrazione. “Sementi seminali”

L’Elliofannia del giorno rischia di non pervenire, vista la foschia che vela oggi l’ellevato splendore medio della selezione. Risparmiamo a Lei qualsiasi associazione (nella fattispecie zoologico-nwriana) con l’abisso de L’acusada e accontentiamoci del vangoghianamente stEllato Wi(e)llem Dafoe alla ricerca di altri Soli, oppure delle fanntasie luminose e trascendenti di Naderi.

(nella foto: This is my thermos. There are many like it, but this one is mine. My thermos is my best friend. It is my life. I must master it as I must master my life. Without me, my thermos is useless. Without my thermos, I am a useless zombie dalla palpebra puntualmente pesante in concomitanza del sottotitolo o beat più imprescindibile per l’interpretazione del film.)

 

About Carlo Gandolfi

Colui che scruta, cromaveglie di luce, onirosuoni.

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