The Sisters Brothers: Il vero western moderno post-Unforgiven è stratificato luogo di indagine trascendente (meta- forica, fisica, testuale); Audiard non è da meno e risponde alla riflessione narratologica dei Coen col suo approccio più linguistico (il gioco ossimorico del titolo è già un programma): binomiale, antinomico, revisionista (i titoli di testa si stratificano depositandosi sul fondo del fotogramma e riempiendolo dal basso verso l’altro; l’incendio iniziale è il finale proprio di Unforgiven; l’orizzonte ultimo dietro a cui il sole tramonta non è la prateria o il deserto ma l’oceano – l’antagonista è un fantomatico Commodoro), antinarrativo (il resoconto hardboiled di Gyllenhaal è sempre interrotto; la resa dei conti finale è un anticlimax clamoroso; la parabola del protagonista si chiude con una formula magica nelle tranquille ellissi di un montage a piano sequenza). “Coen (B/)Sis. (La strana coppia, o Sorelle no. 1)”
La quietude: Accenni a un finalmente non troppo scontato rapporto (anche sessuale, per interposta e sovrapposta narrazione) tra due sorelle (e la madre terzo incomodo); poi due ore di smentite a questa così audace prima impressione (non sia mai). “Bejo non approfondire (o Sorelle no. 2)”
Tel Aviv on fire: Ovazioni in sala, ma la comicità di questa commedia arabo-israeliana, per quanto dignitosamente congegnata, non decolla mai, zavorrata oltretutto da un corredo di didascalie politicamente corrette. “Telavevano consigliato ma potevi anche evitare (o ((Tentativi di) Popolazioni) Sorelle no.3)”
Women Tales #15, #16: Due cortometraggi nefanndi(ng)ssimi e tuttavia (perciò) inevEllabili dal mio programma (cfr infra), dei quali vi risparmierò l’edificante sinossi. “(M/F)annie (o SorElle no.4)”
Napszàllta (Sunset): Un’Iride wide shut sugli (alb)orrori del Novecento: labirintico, opprimente, tirannico (il dialogo dei controcampi è annientato da magistrali giochi di camere fluttuanti e fuochi millimetrici, con il fulcro costante della protagonista), oscuro, pirotecnico, metamorfico (androgino). Re-visione d’obbligo domani, previa rinuncia però molto combattuta ad Amos Gitai. “Il filo nascosto di A(i)ri(s)anna”
El Pepe una vida suprema: Visione d’inerzia darsenale, minata dalla digestione lunga di Nemes (e Audiard). Documentario pulito e funzionale, ma poco speziato (e lo chef di tutto rispetto è Kusturica), interessante più che altro per il raffronto con La noche de 12 años, che si basa proprio sulla storia di Pepe Mujica e dei suoi compagni, di cui ascoltiamo qui le voci reali. “Dar seno materno traiamo il nostro nutrimento (o (Pellicole) Sorelle no. 5)”
L’Elliofannia (esplosiva) del giorno (oltre ai tramonti nemesiani, nemesi delle aurore guadagniniane di ieri) è l’essere inciampato del tutto casualmente nelle mediocri opere di una Dakota (stavolta-sì-)Fanning (#15) e di un’Haifaa al-Mansour (che la Nostra dirige nell’ancor più mediocre – e fidatevi, è difficile – Mary Shelley, da poco uscito nelle sale italiane; #16). Radianti emanazioni sidellari finalmente concrete.
(nella foto (della foto nella fotocamera mia) antispoiler ed ellusiva – svogliata perché avevo appena realizzato di essermi giocato una gustosa inquadratura eccentrica a causa di un attacco di parællisi evidentemente transitiva – il suddetto consanguineo stEllare)
