UNA FUNZIONE DELLA MUSICA PER FILM – (Parte III)

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Una variante all’interno del filone di pensiero che ritiene la musica capace di imitare la Natura e di essere specchio dell’anima, ci è offerta da Eduard Hanslick (1825-1904), il quale ha maturato l’idea che la musica non esprima i sentimenti, ma la loro dinamica. La musica può «imitare il moto di un processo psichico secondo le sue diverse fasi: presto, adagio, forte, piano, crescendo, diminuendo. Ma il movimento non è che una particolarità del sentimento, non il sentimento stesso».
Anche Lou Andreas-Salomé (1861-1937), psicoanalista di vasta cultura umanistica, amata da Nietzsche, Rilke e molti altri, ha teorizzato un’analoga corrispondenza tra il funzionamento del cinema e quello della mente.
Roman Vlad (1919-2013), compositore e musicologo (noto ad esempio per le musiche del film La bellezza del diavolo  di Clair, del 1950), assumendo una posizione non dissimile da quella di Hanslick, sostiene: «La virtù specifica dell’arte dei suoni è quella di essere priva di valori semantici definiti…i suoi significati immaginifici esulano da qualsiasi possibilità di riferimento a particolari contingenze sentimentali

Il neurofisiologo Mauro Mancia intende la musica come un linguaggio metaforico il cui potere si articola in forme che esprimono affetti in modo simbolico. Scrive: «Potremmo affermare che la musica è una forma significante le cui strutture presentano una somiglianza, nelle loro forme logiche, con la nostra vita emotiva. La musica è una forma che riflette quella dei nostri sentimenti con un significato che può essere colto solo intuitivamente.»

La musica (come ogni altra arte) è in fondo sempre una combinazione di Cultura e di Natura, di individuale e di collettivo, di significato e di significanza. Essa acquista un senso sempre differente in base alle diverse capacità di ascolto. Ma ci sono degli elementi ancestrali che vengono compresi – o meglio, intuiti – anche a prescindere dal livello di acculturazione dell’ascoltatore.
È soprattutto a questo fenomeno che fa riferimento Carl Gustav Jung quando scrive: «La musica non proviene dalla parte cosciente dell’anima e non si indirizza al cosciente, ma la sua forza emerge dall’inconscio e agisce sull’inconscio».
È su questi elementi “universali” che si basa buona parte della musica da film.

La musica da film ha impiegato ed impiega tutt’ora particolari espedienti per sottolineare, per rappresentare, o per evocare.
Chion distingue tre tipi di musica per film: “musica empatica”, “musica non empatica” e il “contrappunto didattico”.
La musica empatica è quella «che partecipa direttamente alle emozioni del personaggio, vibrando simpateticamente con esse, avvolgendole, prolungandole e amplificandole». La musica non empatica «esibisce una dichiarata indifferenza nei riguardi di una situazione emotiva molto intensa» (questo dice a riguardo de Il terzo uomo di Reed, del 1949), e il contrappunto didattico è «utile a dare significato ad un concetto, ad un’idea» (un esempio riportato da Chion è il valzer di Strauss in 2001 Odissea nello spazio di Kubrick, del 1968).
A questo riguardo, Enzo Masetti si interroga: «Ecco un personaggio: bene, la musica guarda lui, ne segue i movimenti, s’immedesima in lui…però, a che pensa costui? I ritmi che potrebbero rispecchiare il suo animo, i ritmi interni, per intenderci, corrispondono al ritmo esteriore dei suoi atti? E fino a che punto i due ritmi divergono, e dove infine convergono?».

Quando si parla di musica per film, si deve sempre ricordare che la musica è nei film (perlomeno dopo il periodo del muto) una presenza estremamente mutevole e fluida, un po’ come il colore su una tela. Vi sono film “saturi” di musica, o al contrario poveri di sostanza musicale. Vi sono film dove la musica spicca (nei modi in cui le è possibile: o grazie alla sua cantabilità e capacità di seduzione o per la sua dirompenza aggressiva o per il suo ricorrere all’interno del film come leitmotiv). Ma la musica può anche servire da corroborante per certe scene e certe immagini e mimetizzarsi nel flusso sinestetico del film senza lasciare traccia nella memoria dello spettatore.

La musica può rappresentare i sentimenti umani su un piano eminentemente espressivo, ma anche descrivere la loro componente dinamica (fatta di ripetizioni, corrispondenze, flashback, trasformazioni, etc.).
Negli anni ’50 in Italia molto si è battuto su questa funzione della musica. Ed è interessante notare, il tentativo, da parte degli autori citati, di colmare con la parola scritta un quid che solo la musica può esprimere in modo pieno.

 

Leggi anche Una funzione della musica per film (Parte I) e (Parte II)

 

About Luca Mantovanelli

Saturnino, introverso, Luca Mantovanelli ha iniziato presto ad interessarsi di musica e la sua curiosità per l’aspetto creativo e per la psicoanalisi sfocia all’università con una tesi sulla regìa operistica con applicazione al Don Carlos di Verdi. Ma sono proprio le trame delle opere liriche, talvolta – secondo lui - un po’ dispersive e distanti dalla sensibilità moderna, a ricordare a Luca che nel suo passato alcune altre trame (come per esempio di Amadeus e di Film blu) gli avevano cambiato un po’ la vita. Ecco allora una nuova presa di contatto da parte sua con la ‘settima arte’ (e Bobbio ha rappresentato senz’altro per lui un’insolita quanto stimolante esperienza). I suoi incontri con il cinema (di ieri e di oggi) sono stati sempre meno casuali e sempre più dettati dalla curiosità. Luca ritiene che i prodotti artistici migliori (che riscontrino un successo di botteghino o meno) siano quelli che sentiamo riflettere pezzi del nostro Io, e al tempo stesso in grado di indicarci o aprirci una nuova strada…perché è sempre indispensabile un quid di novità. L’introversione ha portato Luca a trovare nella scrittura il suo più congeniale e gratificante mezzo di espressione.

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