ULTIMO TANGO A PARIGI

Titolo: Ultimo tango a Parigi; Regia: Bernardo Bertolucci; Interpreti: Marlon Brando, Maria Schneider, Jean-Pierre Léaud, Massimo Girotti; Anno:1972; Origine: Italia, Francia; Durata: 136’

[CONTIENE SPOILER]

Paul e Jean, in un appartamento vuoto di Parigi, tra corpo e anima.

«Troppo corpo e lo spirito muore; troppo spirito e il corpo muore.» C. G. Jung

«Mentre mi trovavo in un albergo di New York ho pensato ad una storia che si svolgeva in un giorno e una notte. Forse si trattava di una mia fantasia erotica: trovarmi in una stanza vuota con una sconosciuta e comunicare solo facendo l’amore, solo con i corpi, senza conoscere nulla l’uno dell’altra… una specie di missione impossibile. Chi lo sa questi giochi erotici dove ci porteranno?»
È questo il nucleo vibrante di Ultimo tango a Parigi, la riflessione di un regista, nel 1972 appena trentenne, che ha sempre considerato il cinema come un viaggio di scoperta di sé e del mondo attraverso ciò che nell’atto stesso del cinema sempre si gioca: il nostro rapporto – cosciente e inconscio – con ciò che è altro da noi, ma, spesso allo stesso tempo, anche in noi.
Nelle opere di Bertolucci la piega psicoanalitica è vertiginosa: «Freud ha scritto un libro: “Analisi terminabile e analisi interminabile”. Ecco, io faccio parte della seconda categoria avendo fatto analisi per quasi 37 anni. Dire che ruolo ha avuto l’analisi nel mio cinema è come chiedermi: “Lei respira?”. Per me diventa l’obiettivo in più nella macchina da presa, un obiettivo molto importante.»

2Paul (Marlon Brando), un maturo uomo americano, e la giovane francese Jean (Maria Schneider) si incontrano per caso in un appartamento sfitto in rue Jules Verne a Parigi. L’uomo ha da poco perso la moglie, suicidatasi nell’hotel che conducevano insieme, mentre la giovane donna, figlia di un colonnello, è fidanzata con Tom (Jean-Pierre Leaud), cinéphile e regista, che sta realizzando un film su Jean e la loro relazione. Paul e Jean si incontrano ripetutamente nell’appartamento, dove intrecciano una intensa e sfrenata relazione sessuale alla quale pongono una sola regola: non svelarsi né nomi, né vite. Parallelamente, Paul fa i conti con il suo passato e con il suicidio della moglie, mentre Jean inizia ad interrogarsi su ciò che prova, scoprendo infine di essere innamorata di Paul. Quando glielo confida, l’uomo si difende rifiutandola, per poi ritornare e chiederle di sposarlo. In un locale di tango, Paul si lancia alla disperata conquista dell’amata: tra alcool, dichiarazioni d’amore e danze, cerca di convincerla del loro futuro insieme. Ma per Jean è finita: ha deciso di sposare Tom e andare lontano. Fuggendo via da Paul, che la insegue, in una corsa tra le strade di Parigi, Jean arriva al suo appartamento dove uccide Paul proprio mentre gli rivela il suo nome.

Ultimo tango a Parigi provoca nello spettatore alcune riflessioni: è possibile una relazione di solo corpo? E se, per la natura stessa dell’essere umano, ciò non fosse bastevole, è comunque possibile una relazione totale, cioè di corpo e spirito? Quanto i limiti alla nostra individuazione impediscono la libertà di amare con la completezza a cui essenzialmente tendiamo?

1I incontro
Paul e Jean, da perfetti sconosciuti, durante il loro primo casuale incontro si amano spasmodicamente, tendendo a quella che Bataille definisce «la perduta unità» (George Bataille,  L’erotismo).

II incontro
Ma, già dal secondo incontro, Paul stabilisce la regola che deve governare il loro rapporto, regola che Jean accetta.
L’incastro tra cacciatore e preda, tra oppressore ed oppresso, si realizza tra persone compatibili nella misura in cui ciascuna di esse (non) si sia individuata, raggiungendo così una certa misura, più o meno ampia, di libertà. Succede quindi che Paul e Jean, entrambi in qualche modo bloccati e/o non individuati, si incastrino alla perfezione. Paul, invaso dal dolore per il suicidio della moglie, è incompleto, bloccato in uno stato difensivo ad oltranza. Egli non può che proporre un rapporto dove il coinvolgimento sia ridotto all’osso, concedendosi solo ciò che di fronte alla morte scatta fortemente: l’istinto vitale per eccellenza, cioè quello sessuale. Ma esso deve essere vissuto nudo e crudo, vale a dire privato di ogni ulteriore elemento, fino al parossismo del non voler nemmeno conoscere il nome (che primariamente ci individua) della propria amante. La vera intimità, fatta di comprensione e conoscenza e non già della confidenza dei corpi, non deve essere nemmeno sfiorata.

Dall’altro lato, Jean «come spesso succede alla donne, non è capace di amore in primo luogo verso se stessa, ritrovandosi così quasi sempre parte di un rapporto di coppia sado-masochistico» (Germaine Greer, L’eunuco femmina). Jean, infatti, accetta la proposta di Paul.
Jean: Non so come chiamarti.
Paul: Non ho nome.
Vuoi sapere il mio?
No! No, sta’ zitta! Non dire niente… io non voglio sapere come ti chiami. Tu non hai nome e io nemmeno… nessun nome, qui dentro non ci sono nomi, non esistono nomi, capito?
Lei è pazzo!
Forse lo sono, però non voglio sapere niente di te… non voglio sapere dove abiti, con chi abiti o da dove vieni… non voglio sapere niente. Siamo intesi?
Mi fa paura.
Niente. Noi ci incontriamo senza sapere niente di quello che siamo fuori di qui, d’accordo?
Ma perché?
Bé… perché, perché non abbiamo bisogno di nomi qui dentro, capisci? Dimenticheremo tutto ciò che sappiamo, tutto: cose, persone, gli altri… tutto ciò che siamo stati… gli amici, la casa… dobbiamo dimenticare ogni cosa, ogni cosa.
Non so… ci riusciremo?
Non lo so. Hai paura?
No.

3III incontro
Jean però, proprio in quanto donna, non riesce a restare a lungo nella modalità stand-by: è più forte in lei l’istinto di accogliere, far germogliare, far crescere e quindi di entrare in comunicazione, creando quella che potremmo definire «l’intimità del cuore». Infatti già dopo il primo incontro Jean cerca di sgretolare almeno un po’ il patto siglato, dando un nome a Paul, avvicinandosi cioè al suo cuore. Non è un caso che durante il film sia Jean a mettersi progressivamente letteralmente a nudo, mentre Paul rimane sempre vestito, tranne una sequenza (di cui un celebre fotogramma è stato trasposto nel manifesto del film) dove tuttavia rimane coperto dal corpo di Jean che lo avvolge.
Jean: Avrei voglia di inventarmi un nome per te.
Paul: Un nome? Mi hanno chiamato con milioni di nomi nella mia vita, ma che ci faccio con un nome? È mille volte meglio un suono, un grugnito invece di un nome.

IV-V-VI incontro
Tanto è connaturata alla natura umana l’esigenza di amare ed essere amati che, man mano che gli incontri si susseguono, Jean, portatrice dell’istanza di amore in quanto donna, riesce ad aprire uno spiraglio nella corazza di Paul. L’uomo inizia a parlare di sé, dei suoi ricordi d’infanzia, salvo subito dopo quasi annullare il passo avanti compiuto, rimarcando il suo stato difensivo. Specularmente, Jean si avvicina a Paul fintanto che lui è distante, salvo defilarsi (come vedremo) quando diventerà una reale possibilità di amore.

Tra i due amanti il rapporto «preda-cacciatore» è pienamente realizzato. Entrambi governati dalla propria paura (quella che ciascuno di noi ha di individuarsi e liberarsi), si difendono dall’amore nel momento in cui diventa una possibilità più concreta e reale, e lo inseguono quando si allontana, giacché l’essere cacciatore dà una sensazione di controllo e quindi di (falso) potere e (falsa) libertà. Libertà è invece andare verso il proprio io, accettando l’esistenza del rischio e la possibilità di errore che proprio al di fuori del controllo risiede, cosa che sia Jean che Paul non sembrano pronti a fare.
4Jean: Il mio primo amore fu mio cugino Paul.
Paul: No… mi farai venire le emorroidi se continui a fare nomi…niente nomi! Io me ne frego se quello che dici è vero o falso, ma nomi non ne voglio… non lo sopporto. […]
Perché non mi stai a sentire? Quando ti parlo ho l’impressione di parlare a un muro. La tua solitudine è pesante. Non è mica indulgente, sai, non è mica generosa. Sei un egoista. Anche io so bastare a me stessa, sai?
Paul piange. […]
Jean: Senti, vuoi sapere perché non vuoi conoscere niente della mia vita? Perché tu odi le donne. Ma che cosa ti hanno fatto?
Vedi, o le donne pretendono di sapere io chi sono o pretendono che io sappia chi sono loro. E questo mi annoia a morte.
Io non ho mica paura di parlare di me. Ho venti anni e…
NO! Ma come te lo devo dire? che non voglio sapere niente?… te lo devo dire in tedesco? So che non è facile ma devi rassegnarti. […] Devo riconoscere che sono felice con te. […]
– Quello che mi fa impazzire è che sei così maledettamente sicuro che tornerò qui. […] Perdonami. Ho sbagliato. Ti volevo lasciare ma non posso, non c’è niente da fare, non posso, non posso lasciarti, mi capisci? Mi vuoi ancora con te? […] Io voglio andarmene… non posso più stare qua, non ci torno più, non mi vedrai più.
– Quo vadis , baby?

VII incontro
Infine Jean, in uno slancio vitale, si dichiara a Paul.
Jean: Sono innamorata.
Paul: Innamorata? Oh, finirò per piangere. […]
Lo sai perché mi sono innamorata?
Dillo… ti supplico.
Perché lui ha trovato il modo giusto per farmi innamorare.
E tu vuoi che l’uomo che ti ami, ti protegga e abbia cura di te.
Certo.
– Vuoi che questo forte, lucente e possente guerriero costruisca una fortezza dove puoi rifugiarti, in modo che tu non debba mai aver paura, non debba mai sentirti sola, non debba sentirti esclusa… è questo che cerchi, vero?
Sì.
Non lo troverai mai!
Ma io l’ho già trovato. Io l’ho trovato quest’uomo.
– No. Tu sei sola, sei tutta sola. E non ti libererai da questa sensazione di completa solitudine finché non guarderai la morte in faccia.
Ma io l’ho trovato quest’uomo… sei tu! Sei tu quest’uomo.

6Dopo la dichiarazione di Jean, Paul, che in un primo momento ha rifiutato per l’ennesima volta la sua amante, dà l’addio alla moglie suicida, in un lungo monologo in cui viene ripreso a distanza ravvicinata. Guardare la morte in faccia, nella stretta correlazione eros-thanatos, sembra così assumere la valenza di staccarsi, morire per rinascere, individuarsi, accettando il rischio e assumendo su di sé la possibilità di errore. È lo stesso percorso di Ida McGrath in Lezioni di piano quando afferma «La mia volontà ha scelto la vita», primo passo per liberare il proprio io e, con esso, la possibilità di amare, spirito e corpo.
Quando Paul si dichiara a Jean, è però lei a rifiutarlo, fino ad ucciderlo. Jean ha appena accettato di sposare il suo fidanzato Tom, rintanandosi in uno schema rassicurante, conferma delle sue esigenze di etero-accudimento. Si tratta del secolare dibattersi della donna tra autonomia e protezione, tra libertà e dipendenza e, specularmente, tra amore come salvezza o come perdizione. L’individuazione femminile, come amore e fiducia in se stesse, eliminando il falso bisogno del guerriero forte, lucente e possente, purifica l’amore dal bisogno di protezione, rendendolo una scelta libera e totale.

Ultimo tango a Parigi sembra quindi dirci che una relazione in cui si comunichi solo con il corpo non solo non sia possibile, avendo entrambi (corpo e spirito, inestricabilmente connessi) bisogno di ascolto, alimento e vita per la nostra stessa esistenza; ma anche che, senza un vero percorso di individuazione che porti alla liberazione dell’io, una relazione che comprenda entrambi gli aspetti non risulta, pur volendo, realizzabile. L’esigenza di amare ed essere amati, svincolata da una reale individuazione, rimane sterile tensione, mai realmente appagata; resta invischiata nei ruoli di preda/cacciatore; determina scelte non libere, governate da bisogni altri dall’amore.

8In coerenza con l’impianto psicoanalitico che il cinema di Bertolucci presenta nell’approccio alla storia che vuole raccontare, una ricca simbologia si ritrova anche nelle scelte stilistiche relative a fotografia e scenografia.
Il colore dominante della fotografia di Vittorio Storaro è l’arancio nella sua qualità drammaturgica di calore, di sole al tramonto, di utero femminile.
Evocativa del grembo materno è anche la stanza circolare ove i due amanti si ritrovano, un non-luogo morbido nel quale essere accolti, in cui si ritorna alle origini (come il costante leitmotiv del sax di Gato Barbieri sottolinea in tutte le sequenze degli incontri). Qui, in un gioco di riprese ed immagini riflesse e scomposte, i due protagonisti si specchiano e si rispecchiano, si celano e si manifestano, all’altro e a se stessi.

bacon 2Una intensa drammaticità, quella dei protagonisti di Ultimo tango a Parigi, per rappresentare la quale Bertolucci trovò una ulteriore efficace fonte di ispirazione nei quadri di Francis Bacon, riuscendo a trasfondere nei protagonisti del film la stessa febbre di costante disperazione che esprimono le opere del pittore inglese.
«Ho portato tutta la troupe a vedere la mostra di Bacon che all’epoca era in corso a Parigi, incluso Marlon al quale ho indicato il dipinto che riporto all’inizio del film. È un ritratto che a prima vista sembra abbastanza figurativo, ma se lo si guarda un po’ più a lungo perde completamente il suo naturalismo e diventa l’espressione di ciò che accade nelle viscere o nell’inconscio del pittore. Ho detto a Marlon: “Vedi quel quadro? Voglio che tu ricrei lo stesso intenso dolore.” E questa è stata praticamente l’unica indicazione che gli ho dato per il film.»

9Se la psicoanalisi è strumento per entrare sempre più nella verità delle cose, in quella cioè che si cela sotto l’apparenza del reale, la macchina da presa non può che essere mezzo per arrivare ad «un realismo che non vuole mostrare le cose vere, ma come le cose sono veramente», nella definizione di Brecht condivisa da Bertolucci. In Ultimo tango a Parigi, nei movimenti di ripresa, per i quali lo stesso Bertolucci ha inventato il neologismo illuminante di camerasutra, essa viene spesso collocata a livello dei corpi agenti, arrivando a posizionarsi rasoterra in asse con i corpi degli attori. La macchina da presa li/ci avvolge permettendo un’aderenza al reale che rende possibile la condivisione da parte dell’obiettivo dell’erotismo che permea i personaggi.
Forse la vera carica trasgressiva di Ultimo tango a Parigi, come di tutto il cinema di Bertolucci, è quella di infrangere il tabù del parlare di erotismo, corpo, ma ancor più di solitudine, disperazione, consapevolezza, individuazione, liberazione.

ultimoLa stessa carica trasgressiva si ritrova nella scelta degli attori protagonisti, primo fra tutti Marlon Brando, attore al di là dell’attore, quasi un mito, ritratto in questo film come un uomo disperato.
«Scelgo gli attori per il mistero che una faccia mi fa sentire, per il desiderio di scoprire il segreto che si cela dietro quel mistero: qualcosa di profondamente vero può nascondersi dietro la maschera di un personaggio. Piuttosto che avere Marlon che diventava Paul io quindi volevo che Paul diventasse Marlon, che il personaggio diventasse vivo attraverso il sangue e l’esperienza di vita dell’attore. Per esempio, nella scena in cui Marlon racconta gli aneddoti del suo passato, è stato Brando che ha fatto tutto. Gli ho solo detto: “Lei ti farà delle domande. Tu rispondi quello che vuoi.” Dopo qualche anno, Marlon mi ha detto, con un sorriso malizioso: “Allora? Pensi davvero che quello che ti ho mostrato nel film fossi davvero io?” Non lo so, ma è proprio questo ad essere meraviglioso.»maria2
La scelta della debuttante Maria Schneider fu invece determinata dalla volontà di trovare una giovane donna, fresca di vita e di esperienza, da contrapporre al carico doloroso del 45enne protagonista.

«A 20 anni lei divenne un simbolo. Forse era troppo piccola, non aveva le spalle psicologiche abbastanza forti per quel peso. Del resto anche io, all’epoca 30enne, fui sconvolto alla fine del film, che fu visto ovunque. Non mi era mai successo. In un certo senso iniziai a sentirmi onnipotente, tanto da sentirmi quasi costretto a pensare di esserlo e a girare subito dopo “Novecento”, una vera sfida giacché era un film sul socialismo in Romagna, finanziato dagli americani.»

Ma questa è un’altra storia.

 

bernardo

 

Leggi anche: Cinema e Poesia – Ultimo tango a Parigi.

About Alessandra Quagliarella

Di Bari dove ha frequentato il liceo classico Socrate e si è laurea in Giurisprudenza. Da sempre appassionata di cinema. Nel 2013 ha frequentato il Seminario residenziale di Critica Cinematografica organizzato dalla rivista di settore I duellanti nell'ambito del Bobbio Film Festival ideato e curato dal maestro Marco Bellocchio, nonché il corso di Storia del Cinema presso l'Uniba - Università di Bari a.a.2012/2013. Ideatrice della rubrica "Cinema e Psiche" su Cinemagazzino, rubrica che si propone una riflessione sulle vicende dell’animo umano tramite l’analisi del linguaggio espressivo di quel cinema che se n’è occupato. Nel 2015-2016 ha curato e condotto due trasmissioni sul cinema: 'Sold Out Cinema' e 'Lanterna Magica, 'entrambe su Controradio Bari. Nel 2023 ha curato la rassegna cinematografica collegata al Corso diretto dalla prof.a Francesca Romana Recchia Luciani per le Competenze trasversali con oggetto la Violenza di genere dell'Università di Bari. Nel luglio 2023 ha collaborato alla rassegna 'Under Pressure, azioni e reazioni alla competizione' e nell'ottobre 2023 ha partecipato all'evento 'Taci, anzi parla. Il punto sulla violenza di genere' con un intervento sul film 'Una donna promettente', entrambi organizzati dall'associazione La Giusta Causa.

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