Titolo: Non è un paese per vecchi
Titolo Originale: No Country For Old Men
Regia: Joel e Ethan Coen
Anno: 2007
Origine: USA
Durata: 122′
«Questo libro aspettava solo di essere trasformato in film!» È quanto dichiarano i Coen brothers accettando con entusiasmo la proposta del produttore Scott Rudin di realizzare un film dall’omonimo romanzo pubblicato nel 2005 da Corman McCarthy, No country for old men (Non è un paese per vecchi), titolo integralmente mutuato dalla prima strofa della poesia Sailing to Bisatyum di Yeats.
La trama, del tutto invariata nel passaggio dall’opera scritta a quella filmica, è presto detta: durante una battuta di caccia in solitario, dopo aver per caso trovato una valigetta piena di dollari sul luogo dello scambio di una partita di droga finito terribilmente male, Llewelyn Moss (Josh Brolin) si dà alla fuga con il malloppo. Sulle sue tracce arriva un implacabile killer, Anton Chigurg (Javier Bardem), che non si fermerà dinanzi a niente per portare a termine la sua missione. Sulle tracce di entrambi arriva lo sceriffo del luogo, Ed Tom Bell (Tommy Lee Jones).
In poche parole «un buono, un cattivo e un ragazzo normale che si ritrova in una circostanza eccezionale e passa tutto il tempo ad evitarne le conseguenze», come i Coen hanno dichiarato.
Tre uomini molto diversi tra loro, ciascuno alle prese con la propria filosofia di vita ed il proprio codice morale/immorale dinanzi agli eventi, impegnati in un inseguimento a catena che non li vedrà (quasi) mai incontrarsi, più un quarto protagonista: il Texas occidentale al confine con il Messico, un’area semidesertica dove sulla montagna più alta tutt’ora troneggia la scritta «La Bibbia è la verità. Leggila.»
Questo angolo di America, scenario archetipico del western nel nostro immaginario filmico di spettatori, se nel romanzo è fortemente contestualizzato, nel film trascende ogni dato temporale e geografico. La precisa scelta di luogo e periodo, (il 1980), operata dallo scrittore, risponde ad una realtà storica che gli interessa rappresentare: l’inizio particolarmente violento del traffico di droga tra Usa-Texas e Messico. I registi invece, rafforzandone la mitologia, arrivano a trascendere il dato testuale: potremmo essere in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo, il Texas diventa tutto il mondo!
Se McCarthy con questo romanzo affronta una nuova tipologia, il crime-thriller, discostandosi almeno in parte dalla tematica western della precedente “trilogia della frontiera”, i Coen fanno un’operazione più complessa.
«Abbiamo deciso di fare questo film anche per confrontarci con un genere per noi nuovo e con i relativi grandi maestri del passato: Ford, Peckinpah» hanno dichiarato i registi. Partendo dal western, del quale ritroviamo i principali topos (il Texas, i cavalli, i cappelli, le pistole e soprattutto lo sceriffo che insegue il cattivo per assicurarlo alla giustizia), intrecciato con generi per loro più consueti (thriller, noir, road movie), ne ribaltano l’epilogo, [SPOILER] giacché in questo continuo triplice inseguirsi il buono (lo sceriffo) non raggiunge mai il cattivo. [FINE SPOILER] In definitiva i Coen ci dicono che la società americana era e resta violenta. Se il genere western in fondo aveva la funzione di accreditare e ripulire l’etica americana, violenta sin dai tempi della frontiera, con quest’opera i registi ci dicono che questa farsa non è più credibile.
Il romanzo si apre, è costantemente punteggiato e si chiude con il diario dello sceriffo Bell che riflette sul male, sulla sua natura e su cosa sia diventato il suo paese, il suo lavoro, la sua vita.
Dal diario dello sceriffo Tom Bell:
«Il più delle volte quando dico che il mondo sta andando alla malora e di corsa, la gente mi fa un mezzo sorriso e mi dice che sono io che sto invecchiando. E che quello è uno dei sintomi.
In parte ho sempre pensato che in qualche modo almeno potevo addrizzare le cose e invece mi sa che adesso non mi sento più così. Non so come mi sento. Mi si chiede di rappresentare qualcosa in cui non ho più la stessa fede che avevo una volta. Mi si chiede di credere in qualcosa con cui forse non sono più d’accordo come una volta. È questo il problema.
I guai cominciano quando si inizia a passare sopra alla maleducazione. Quando non si sente più dire Grazie e Per Favore, vuol dire che la fine è vicina.»
Nella trasposizione filmica di No country for old men solo una piccola parte di queste pagine è trasposta nella sceneggiatura. La dimensione elegiaca/riflessiva del racconto contenuta nel diario di Bell che ci comunica tutta l’angoscia dell’essere senza speranza ed il senso di fallimento della sua/nostra vita, messaggio centrale del libro, sembra essere sacrificata a favore dell’azione, ma è così solo in apparenza.
Come il romanzo, il film si apre e si chiude con le parole dello sceriffo, rispettivamente con alcune sue riflessioni e con la descrizione di un sogno che ha fatto. La sequenza iniziale è preceduta e quella finale si conclude con una schermata totalmente nera; nell’incipit la voce fuori campo dello sceriffo è associata a diverse riprese in campo lunghissimo del quarto personaggio, il Texas.
La perdita della speranza, che lo schermo nero simboleggia, suggerita nella sequenza di apertura di No country for old men, è tesi che viene rigorosamente dimostrata nella narrazione filmica tramite la rappresentazione di una violenza incontenibile inarrestabile incredibile, specchio del male assoluto che trionfa, dal quale ci si può salvare solo per la mera propizia casualità del lancio di una monetina. Dinanzi a questo scenario infine i registi si fermano, tacciono, confermano con un ulteriore schermo nero che l’unico senso è la perdita di senso.
Dopo solo tre minuti dall’inizio di No country for old men ci troviamo nell’agito violento. Dalle linee orizzontali del paesaggio immenso ed aspro, scenario immutato ed indifferente alle sorti del singolo, con un cambio di registro improvviso, che di sicuro così presto non ci aspettiamo, assistiamo allo strangolamento del vicesceriffo da parte di Anton Chiburg, una delle sequenze più violente di tutta l’opera.
L’esplosione della violenza, che nelle intenzioni dei registi «non ha spiegazione, esplode e basta», come nel romanzo è preparata tramite la descrizione particolareggiata delle azioni che la precedono, realizzata nel film tramite la ripresa di dettagli attrazionali incalzanti in primo/primissimo piano ed in stretta successione.
La sequenza iniziale dello strangolamento è preceduta dai primi piani del fucile ad aria compressa per finire con il dettaglio delle strisce sul pavimento, segno del divincolarsi del corpo della vittima.
Nella scena del motel, una serie di dettagli in primissimo piano, nel montaggio alternato tra le due stanze, crea una tensione narrativa potentissima, ben superiore a quella del romanzo.
Prediligendo questo tipo di ripresa, seguendo ed intersecando gli inseguimenti come linee che si avvicinano ma mai si toccano, i Coen conferiscono alla narrazione un ritmo quasi sinusoidale dove alla fine Moss (l’uomo) muore, Bell (il bene) si ferma e solo Chigurg (il male) continua a procedere.
E visto che di perdita di speranza si tratta, i Coen, accogliendo l’insegnamento del maestro del thriller per eccellenza Alfred Hitchcock secondo cui «più è riuscito il cattivo più è riuscito il film», riservano estrema attenzione al personaggio di Anton Chiburg.
Nel romanzo non c’è una sola parola che lo descriva fisicamente, ma di certo non ce lo figuriamo come sono arrivati a rappresentarlo i Coen: «Il suo personaggio si evolve in tutt’altra cosa. Non avremmo mai immaginato, leggendo la sceneggiatura, di ottenere un personaggio del genere.»
Anton Chigurg è uno dei cattivi più memorabili della storia del cinema. A differenza degli altri due personaggi, non ha niente di texano. È l’unico a non indossare il cappello, dotato anzi di una capigliatura quasi caricaturale; indossa una giacca rigida come una divisa che nessuno sognerebbe di indossare nel deserto, con l’unico particolare tipizzato degli stivali a punta, in realtà più simbolo di aggressività che di etnia. Uccide con totale distacco, inevitabilmente ed irrimediabilmente, affidando l’altrui eventuale salvezza al lancio casuale di una monetina. È fatto di carne e sangue, ma la vulnerabilità del suo corpo viene costantemente contraddetta, giacché niente è in grado di fermarlo, come la sequenza dei dettagli attrazionali dell’automedicazione della ferita ci suggerisce. Anche la sua arma è del tutto insolita: un fucile ad aria compressa, sul tipo di quelli usati per macellare i vitelli ora uomini nel mattatoio che è diventato il mondo. Siamo al di fuori di ogni possibile umana immaginazione. Il male non si può fermare, è ovunque, non c’è scampo, sembrano dirci i Coen.
A tali caratteristiche fisiche corrispondono frasi altrettanto agghiaccianti.
Dialogo con il titolare del distributore:
– Testa o croce?
– Per cosa?
– Scegli e basta.
– Bè, devo sapere cosa c’è in ballo.
– Perché? Cambierebbe qualcosa?
– Ma io non mi sono giocato niente.
– Si, invece. Te lo stai giocando da quando sei nato. Solo che non lo sapevi.
Dialogo con il capo dei trafficanti:
– E lei perché non mi parla dei suoi nemici?
– Io non ho nemici. Non permetto che esistano.
I temi della perdita di ogni speranza e della sconfitta del bene di No country for old men nella narrazione filmica, lungi dal perdersi, vengono rappresentati in modo tale che lo spettatore li senta sulla sua pelle. L’ansia di essere senza via di scampo dal male è una sensazione fisica che ci accompagna per tutta la visione del film e che infine ci lascia muti e disorientati come quello schermo nero che chiude l’opera.
In questa narrazione perennemente tesa ed ansiogena le pause di respiro, che nel romanzo sono affidate al diario di Bell, si ritrovano nei dialoghi tra i vari personaggi, anche minori, fedelmente e testualmente trasposti dal romanzo e resi con la tecnica del campo contro campo, classica ma non per questo meno efficace quando è affidata ai grandissimi attori protagonisti ovvero ai volti caratteristici di particolare incisività espressiva delle figure minori (il titolare della stazione di servizio graziato dal lancio della monetina, la portiera del parcheggio delle roulotte dove abita Moss, i ragazzini che danno a Chigurg la camicia per reggere il braccio fratturato).
No country for old men, che ha vinto quattro premi Oscar (film/regia/sceneggiatura non originale/attore non protagonista Javier Bardem) si può leggere a differenti livelli, e può essere apprezzato in ciascuno di essi; western/thriller o metafora della crisi esistenziale, funziona in ogni caso come un meccanismo di precisione. I Coen sono riusciti a realizzare un’opera che è il libro, ma anche qualcosa di più.
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Cinema e Poesia – Non è un paese per vecchi.
About Alessandra Quagliarella
Di Bari dove ha frequentato il liceo classico Socrate e si è laurea in Giurisprudenza. Da sempre appassionata di cinema. Nel 2013 ha frequentato il Seminario residenziale di Critica Cinematografica organizzato dalla rivista di settore I duellanti nell'ambito del Bobbio Film Festival ideato e curato dal maestro Marco Bellocchio, nonché il corso di Storia del Cinema presso l'Uniba - Università di Bari a.a.2012/2013. Ideatrice della rubrica "Cinema e Psiche" su Cinemagazzino, rubrica che si propone una riflessione sulle vicende dell’animo umano tramite l’analisi del linguaggio espressivo di quel cinema che se n’è occupato. Nel 2015-2016 ha curato e condotto due trasmissioni sul cinema: 'Sold Out Cinema' e 'Lanterna Magica, 'entrambe su Controradio Bari. Nel 2023 ha curato la rassegna cinematografica collegata al Corso diretto dalla prof.a Francesca Romana Recchia Luciani per le Competenze trasversali con oggetto la Violenza di genere dell'Università di Bari. Nel luglio 2023 ha collaborato alla rassegna 'Under Pressure, azioni e reazioni alla competizione' e nell'ottobre 2023 ha partecipato all'evento 'Taci, anzi parla. Il punto sulla violenza di genere' con un intervento sul film 'Una donna promettente', entrambi organizzati dall'associazione La Giusta Causa.