Il suo nome forse non dice molto agli spettatori e forse nemmeno ai cinefili, ma per gli studiosi di cinema e gli addetti ai lavori, Garrett Brown (classe 1942) è sicuramente una delle personalità più importanti, annoverabile tra i grandi che hanno cambiato il modo di fare cinema.
Operatore cinematografico, filmmaker e inventore, Garrett Brown ha lavorato, tra gli altri, con Stanley Kubrick (Shining), Steven Spielberg (Indiana Jones e il tempio maledetto), Martin Scorsese (Re per una notte, Casinò), George Lucas (Star Wars – Il ritorno dello Jedi), Jonathan Demme (Philadelphia), Woody Allen (Hannah e le sue sorelle). Il suo contributo più importante è sicuramente l’invenzione della Steadicam, macchina da presa che permette al cameraman di realizzare riprese e inquadrature in movimento, camminando o correndo, stabilizzando l’immagine senza che questa risulti mossa come accade con la macchina a mano. La Steadicam fu utilizzata per la prima volta nel film di Hal Ashby Questa terra è la mia terra (1976), ma le potenzialità di quest’invenzione furono sfruttate al massimo in Shining (1980) di Kubrick, le cui sequenze tra i corridoi dell’Overlook Hotel e nel giardino-labirinto furono rese possibili proprio dalla Steadicam.
Mr. Steadicam, come viene soprannominato, non si è però fermato a questa invenzione: SkyCam, MobyCam, DiveCam, FlyCam e GoCam sono tutti contributi creati da lui e utilizzati soprattutto nelle competizioni sportive (partite di calcio, gare di nuoto, ecc.). Dopo essersi ritirato da mondo del cinema, Garrett Brown ha cominciato ad insegnare a cameraman e operatori come utilizzare la Steadicam e si è dedicato sempre di più alle sue invenzioni: lui stesso afferma che progettare e realizzare nuovi dispositivi filmici è una delle cose che lo entusiasma e soddisfa maggiormente.
Al Festival del Film Locarno, Garrett Brown ha ricevuto il premio Vision Award, istituito nel 2013 ed assegnato a quelle personalità che, con il loro lavoro dietro le quinte, hanno dato un contributo decisivo all’industria cinematografica.
Il giorno successivo alla premiazione, gli spettatori del Festival hanno avuto l’opportunità di assistere ad una masterclass condotta da Garrett Brown, che ha parlato della sua lunga carriera, dimostrando grande disponibilità, professionalità, simpatia, voglia di insegnare e di trasmettere la passione per il proprio lavoro.
Dopo aver mostrato il funzionamento della Steadicam, le quattro regole fondamentali che si insegnano nelle lezioni di utilizzo della Steadicam ed aver dato alcuni consigli su come un operatore debba comportarsi sul set (vedi video), Garrett Brown parla della sua carriera, partendo dalle sue aspirazioni da ragazzo (sarebbe voluto diventare un cantante!) e dal lavoro nell’industria cinematografica.
Spiega come abbia iniziato a progettare i prototipi di Steadicam in seguito alla sua avversione all’uso della camera a mano e alla volontà di utilizzare telecamere che rendessero l’immagine stabile, ma fossero più facilmente manovrabili del dolly. Sullo schermo mostra foto dei primi modelli e di come si siano evoluti nel prodotto finale, insieme ai filmati delle prove che lui e la moglie facevano – addirittura uno in cui la moglie Helen corre su e giù dalla scalinata del Museum of Art di Philadelphia, scena resa poi immortale in Rocky (il secondo film in cui fu utilizzata l’invenzione) e che fu possibile proprio grazie alla Steadicam. L’obiettivo era creare una camera che l’operatore potesse manovrare facilmente mentre correva o camminava, seguendo l’attore anche in spazi stretti e mantenendo l’immagine stabile.
Garrett Brown parla anche della necessità di insegnare agli operatori come manovrare la Steadicam: estremamente importante è saper bilanciare il peso per mantenersi in equilibrio ed essere veloci nei movimenti, sapersi fermare sempre in una posizione comoda, perché può capitare che si debba stare nella stessa posizione per parecchi minuti, ma non secondario è l’atteggiamento da assumere sul set. «Ho cominciato a insegnare agli operatori come utilizzare la Steadicam e ad avere quello che chiamo “the Look”, “lo Sguardo”: quando stai girando, è meglio che il tuo viso non abbia un’espressione orribile, perché gli altri ti osservano e se sembri stanco o affaticato non ti assumeranno per un altro film. Questo non è “the Look”,
La prima regola da seguire quando si lavora a un film su un set è mostrare entusiasmo: verso il proprio lavoro, verso il lavoro degli altri, verso il film. E un piccolo consiglio per riuscire a lavorare con i “big Ego” che spesso si incontrano nel mondo del cinema: «Non dite mai alle persone quello che devono fare, ma mostrategli il vostro problema, lasciate che vi aiutino a risolverlo. Se avete un’idea su come potrebbe essere fatta una particolare inquadratura, non dite a un “big Ego”: “Perché non la facciamo in questo modo?”, ma condividete con lui l’idea come se fosse una scoperta che fate insieme».
Muovere la telecamera ha come prima conseguenza la possibilità di mostrare la forma degli oggetti, di vedere anche ciò che inizialmente non è al centro dell’inquadratura, ma soprattutto di riprodurre ciò che ciascuno fa nella vita di tutti i giorni e di suscitare in questo modo delle reazioni emotive. «Nel film che è la propria vita non si sta solo seduti su una sedia, ma ci si muove, si va a vedere ciò che si vuole vedere, e talvolta quello che si vede ha un impatto emotivo» e la stessa impressione deve darla un film. Allo stesso tempo, Brown spiega come l’inquadratura debba seguire le regole della composizione (la sezione aurea, la regola dei terzi, ecc.), che però sono difficili da mantenere in quanto si tratta di immagini in movimento, e provare a trovare anche nuove soluzioni espressive, che rendano il film interessante. Perché tutto sta nel riuscire a realizzare movimenti di macchina e inquadrature che colpiscano lo spettatore e comunichino attraverso la forma ciò che la storia esprime nel contenuto.
Durante la masterclass, Brown mostra alcune scene di film, spiegando come sono state costruite, parlando essenzialmente della distinzione tra inquadrature soggettive e oggettive e dei diversi modi di realizzarle. Secondo Brown, una sequenza oggettiva deve far percepire il meno possibile i movimenti di macchina, permettendo allo spettatore di concentrarsi esclusivamente sulla storia e sull’attore: l’operatore deve sapersi muovere in sincronia perfetta con l’attore, spostandosi e fermandosi insieme, con la stessa energia. Riguardo alle inquadrature soggettive, molto importante è riuscire a trasmettere le emozioni del personaggio, «l’essenza di quello che sta vedendo, di quello che vuole, cosa lo interessa». E per farlo è necessario non esagerare nei movimenti di macchina, attenersi ancora una volta alla recitazione dell’attore, al suo modo di muoversi, per poterlo riprodurre.
Dopo alcune domande da parte del pubblico, la masterclass si conclude con Garrett Brown che, in seguito alla richiesta di una spettatrice, mostra la sua ultima invenzione: una mini Steadicam su misura per il cellulare! E dà un consiglio: se un’invenzione viene superata dall’evoluzione della tecnologia, non bisogna scoraggiarsi, ma continuare a inventare qualcosa di nuovo.
«Penso che il modo di muovere la telecamera sia una delle capacità decisive nel fare cinema. Il modo in cui l’occhio dello spettatore è guidato dalla macchina da presa è terribilmente importante.»

About Alessandra Pirisi
Tra i fondatori di Cinemagazzino, ne è stata redattrice e collaboratrice fino al dicembre 2018. Laureata all’Università di Bologna in Lettere moderne. I suoi interessi vertono su letteratura (suo primo amore), teatro, danza, cinema, musica e Bruce Springsteen. Si interessa – molto – a serie tv, in particolar modo poliziesche. Ha un'ossessione totalizzante per il cinema indiano.