Niente di nuovo sotto il sole – verrebbe da dire – se non fosse per la pioggia che ha imperversato su Los Angeles fino a poco prima dell’inizio della cerimonia.
Un’edizione senza sorprese l’86esima, che ha visto l’avverarsi di gran parte dei pronostici e che è trascorsa all’insegna della piattezza generale.
Una Ellen DeGeneres al solito spigliata ed ironica ma non pungente e spassosa quanto tutti, o per lo meno gli habitué del suo seguitissimo tv-show, si sarebbero aspettati di vedere.
Colpa degli autori o meno – il monologo iniziale, quanto ad originalità, lasciava davvero a desiderare – la serata si salva per alcune gag ben piazzate che hanno rianimato telespettatori e pubblico in sala (con l’eccezione del divertitissimo Will Smith la cui risata – forse per un microfono orientato verso la sua postazione – si avverte distinta e costante fin dall’inizio della cerimonia).
È Jared Leto (accompagnato per l’occasione dalla sorella gemella madre) il primo ad essere premiato: sua la statuetta come Miglior attore non protagonista per la notevole performance in Dallas Buyers Club.
Segue poi la sfilza di premi “minori” che, tra gli altri, vede Gravity portare a casa il maggior numero di riconoscimenti (Miglior Fotografia, Miglior Montaggio, Miglior Colonna Sonora, Miglior Sonoro, Miglior Montaggio Sonoro, Migliori Effetti Speciali) e Frozen vincere come Miglior film d’animazione e per Miglior Canzone Originale.
Nel frattempo, una selfie scattata dalla conduttrice assieme ad alcune delle star presenti, fa crashare Twitter: ah, gli Oscar 2.0.
Lo show è intervallato da performance musicali piuttosto insipide: se si eccettua l’emozionante esibizione della grande Bette Midler che canta Wind Beneath My Wings in onore delle star scomparse quest’anno, a vedere Pharrell, Bono, Pink, Idina Mezel e Karen O, quasi si rimpiange Miley Cyrus e il suo twerking. Tuttavia, standing ovation da parte della platea, sempre e comunque.
D’altra parte, Ellen ha ordinato pizza per tutti ed occorre fare un po’ di movimento. Harrison Ford e Brad Pitt si aggirano con piatti di plastica e salviettine tra il pubblico che banchetta rumoroso. Leonardo Di Caprio rifiuta l’offerta, ha lo stomaco chiuso: forse già presagisce.
Si deve aspettare fino a metà serata per assistere alla premiazione de La Grande Bellezza come Miglior film straniero (anche qui, niente sorprese). Salgono sul palco Nicola Giuliano (il produttore), un sorridentissimo Servillo e un emozionato Sorrentino che ringrazia le sue fonti di ispirazione: Scorsese, Fellini, i Talking Heads e Diego Armando Maradona (…).
Muccino, Virzì, Veronesi ed altri colleghi twittano la loro contentezza: ah, gli Oscar 2.0.
Vince Lupita Nyong’o il premio come Migliore attrice non protagonista per la sua interpretazione in 12 Anni Schiavo, vince Il Grande Gatsby per Migliori costumi e Migliori scenografie, vince Lei (trascuratissimo da quest’edizione) il premio per la Sceneggiatura Originale.
Si arriva all’escalation finale con le statuette per la Miglior sceneggiatura non originale e per la Miglior Regia, che vanno, rispettivamente, a 12 Anni schiavo e ad Alfonso Cuaròn per Gravity.
A vincere come Miglior attrice protagonista è una bellissima ed eterea Cate Blanchett (interprete in Blue Jasmine di Woody Allen) che con ironia ed eleganza ringrazia pubblico ed Academy e ricorda ad Hollywood l’importanza di fare film su e con le donne.
È Jennifer Lawrence – che, reduce da una rovinosa caduta sul red carpet, riesce a raggiungere il palco questa volta senza incidenti – ad annunciare l’Oscar per il Miglior attore protagonista: Matthew McConaughey batte Di Caprio (come da copione).
Tema della serata è un tributo agli eroi cinematografici (supereroi, personaggi memorabili, registi e attori) e, più che dai video trasmessi durante la serata (una serie di clip giustapposte senza particolare sforzo), lo si percepisce dai discorsi di chi, premiato, sale sul palco. Ognuno ha i propri eroi da ringraziare, mentori a cui rendere omaggio, figure verso cui dimostrare la propria riconoscenza. E nella più scontata ed americana delle tradizioni, per la maggior parte, si tratta dei genitori (che hanno sempre garantito il loro appoggio), di Dio «senza il quale nulla sarebbe stato possibile», di se stessi: come ammette senza falsa retorica McConaughey, «Io sono il mio eroe».
(Per noi: si tratta di Maradona.)
Per l’America degli Oscar, gli eroi sono un nero che lotta contro la schiavitù (è proprio 12 Anni Schiavo a vincere come Miglior Film), una donna astronauta (Gravity si porta a casa ben 7 statuette), ed un malato di AIDS (Dallas Buyers Club): il processo di redenzione è, evidentemente, ancora in corso. Per i “reali” eroi made in USA, quelli che hanno fatto dei dettami dell’opportunista, spietata e ambiziosa America la ragione del proprio essere (tra essi Belfort è solo un esempio) forse ancora non c’è spazio. All’asciutto rimangono i plurinominati American Hustle, The Wolf of Wall Street, Nebraska, Capitain Phillips.
All’insegna del politically correct, l’evento si conclude esattamente come ci si aspettava avvenisse e con una “regolarità” che quasi sembra evidenziarne la retorica e la finzione. Del resto, son cose che già si sanno.
Brad Pitt che si ingozza di pizza e poi sale tranquillamente sul palco per il discorso in onore della vittoria del suo 12 Anni schiavo, tradisce quella sicurezza riconducibile soltanto a chi ormai conosce come funziona il sistema e ne sa consapevolmente essere parte: «It’s show business, baby!»
Per fortuna c’è ancora qualcuno a cui si chiude lo stomaco, anche dopo tutti questi anni.
TUTTI I PREMI:
Miglior film
12 Anni Schiavo
Miglior attrice protagonista
Cate Blanchett (Blue Jasmine)
Miglior attore protagonista
Matthew McConaughey (Dallas Buyers Club)
Miglior regista
Alfonso Cuaron (Gravity)
Miglior sceneggiatura originale
Lei
Miglior sceneggiatura non originale
12 Anni Schiavo
Miglior film straniero
La grande bellezza
Miglior documentario
20 Feet From Stardom
Miglior film d’animazione
Frozen
Miglior canzone originale
Let it go (Frozen)
Miglior attrice non protagonista
Lupita Nyong’o (12 Anni Schiavo)
Miglior attore non protagonista
Jared Leto (Dallas Buyers Club)
Miglior fotografia
Emmanuel Lubezki (Gravity)
Migliori costumi
Il Grande Gatsby
Miglior montaggio
Gravity
Miglior make-up e acconciatura
Dallas Buyers Club
Miglior colonna sonora
Gravity
Migliori scenografie
Il Grande Gatsby
Miglior sonoro
Gravity
Miglior montaggio sonoro
Gravity
Migliori effetti speciali
Gravity
Miglior cortometraggio
Helium – Anders Walter and Kim Magnusson
Miglior cortometraggio documentario
The Lady in Number 6: Music Saved My Life – Malcolm Clarke and Nicholas Reed
Miglior cortometraggio d’animazione
Mr. Hublot – Laurent Witz and Alexandre Espigares
About Elena Cappozzo
Dopo la laurea in Filologia Moderna a Padova, studia Film Writing a Roma. Sognando di scrivere “per”, scrive “di” (cinema) qua e là, accendendo ogni tanto un cero a San...SetBlv. Il grande schermo è il suo primo, assoluto amore ma le capita con discreta frequenza di tradirlo con quello della tv e persino con quello del pc (quella da Youtube e serie tv è in realtà una dipendenza piuttosto grave, no judging.)