MATCH POINT di Woody Allen: alcune considerazioni di ordine musicale

Turandot

La questione in cui Puccini s’è irreparabilmente incagliato durante la composizione di Turandot negli anni ’20 del ’900, ha riguardato il finale dell’opera.
Come è possibile che Calaf persista nell’amare la “Principessa di gelo” (Turandot appunto), dopo il sacrificio d’amore di Liù? Come può avvenire una fusione trionfante fra il principe e la donna incantatrice se proprio costei, seppure in modo indiretto, ha indotto la giovane schiava alla rinuncia dell’amore e alla morte? Perché Calaf non viene neppure scalfito dal senso di colpa? Possibile che l’estasi amorosa lo porti a tanta cecità?

Il tema della colpa entra in gioco anche in Match point (2004), uno dei film di maggiore impatto di Woody Allen (non solo per la straordinaria immediatezza degli accadimenti, ma anche per la sapiente architettura dell’ingranaggio), che presenta qualche assonanza con l’opera pucciniana.
In entrambi, si ha una contrapposizione tra “amore” (che nell’opera di Puccini è simboleggiato da Liù e nel film da Chloe Wilton, una ricca inglese) e “desiderio” (Turandot nell’opera, e nel film Nola Rice, una vulnerabile femme fatale proveniente dagli Stati Uniti).

Protagonista del film è Chris, un giovane campione di tennis irlandese trasferitosi a Londra, dove viene assunto come istruttore in un club; lì conosce Chloe, sorella di un suo allievo (Tom), con cui intraprende una relazione. Ma un’altra donna (Nola), inizialmente fidanzata con lo stesso Tom, lo attrae prepotentemente. Da un semplice flirt, la loro si trasforma in un’appassionata frequentazione e quando la donna gli rivela di essere incinta, Chris, incapace di reggere il gioco, la uccide.
Mentre nell’opera Liù si sacrifica con un pugnale per permettere l’unione tra Calaf e Turandot, nel film Chris uccide Nola per poter vivere – lui pensa in modo sereno – il rapporto con Chloe.
In Turandot trionfa l’amore inaccessibile e sconvolgente (e viene trasfigurato l’amore “rassicurante” e “docile”), nel film al contrario viene preservato l’amore rassicurante e invece trasfigurato quello più passionale e turbolento.

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In entrambe le storie c’è una vittima, in entrambi i casi c’è un congiungimento finale. Nell’opera si approda ad un’unione tanto idilliaca quanto inverosimile (ma giustificabile se osservata in chiave psicoanalitica), mentre nel film si verifica un congiungimento, se vogliamo, più “realistico”, amaro, adombrato appunto dal senso di colpa. Puccini coglie l’innaturale insito in quel finale di libretto, lascia incompiuta l’opera, e ammalato, muore senza aver risolto quello che alcuni chiamano il “quarto enigma di Turandot”.
Mentre l’opera si concentra su questa diatriba fra i due tipi di amore, il film si spinge oltre e intende indagare anche il rapporto tra fortuna e talento.

Chloe e Liù mantengono lungo l’arco di tutta la vicenda lo stesso volto, la stessa identità. Nola e Turandot invece nascondono per un certo tratto il proprio sentimento (o perlomeno oppongono una certa resistenza all’amore prima di “sprofondare” in esso).
In Match point la tragedia, nel concludersi, mostra la sua natura ciclica: dopo un primo figlio avuto dopo svariati tentativi da Chris (che per puro caso non viene incriminato del delitto commesso), la giovane Chloe, oramai divenuta sua moglie, pronuncia la non innocua frase: «Scommetto che la prossima sarà una femmina». Con che cuore, con che animo Chris potrà accogliere l’idea di generare una vita di donna, dopo che una donna è morta per causa sua?

Nel film di Allen non risuonano musiche di Puccini. L’analogia da noi intravista con Turandot riguarda le trame. Ma la musica “classica” – se si vuole adoperare questo termine – pervade comunque intimamente il film. In svariati casi Allen ha dimostrato una grande sensibilità nei confronti della musica classica e operistica (si pensi ad Hannah e le sue sorelle, Crimini e misfatti).
In Match point il presente, con le sue vicende tragiche, si trasfonde nel melodramma operistico del passato (di cui Chris è un grande appassionato) tanto quanto nei lavori di Dostoevskij e di Strindberg, e pure nella tragedia classica, quella di Sofocle (Chris è un fervido lettore di questi autori). Ciò per dire che nelle vicende umane (della vita vera e quelle raccontate dagli artisti) non c’è un prima e un dopo: i grandi temi universali della vita gravitano nel tempo.
In una scena del film, Chris regala a Chloe un cofanetto con dei brani d’opera. Le dice, senza menzionare il nome dell’interprete: «la sua voce esprime tutta la tragicità della vita». [Allen ha scelto la voce di Enrico Caruso, uno dei più importanti tenori della storia.] Chloe (che nella vicenda rappresenta appunto il focolare domestico, la donna ‘rassicurante’) ha una visione diametralmente opposta: lei adora la vita e non la trova affatto tragica. Chris invece è predisposto al tragico, è un personaggio inquieto per natura.

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A parte cinque casi in cui Allen opta per l’intervento diegetico della musica (la musica la si ode in quanto c’è qualcuno che canta, o che suona, per esempio a teatro, o in un salotto), nelle altre occasioni la musica impiegata possiamo supporre sia un ricordo di Chris (ovvero la musica che “passa” nella mente del giovane, secondo un processo di memoria comune a tutti, e al tempo stesso, possiamo credere che sia proprio quella contenuta in quei cd).
Il primo caso in cui si manifesta una sorgente musicale è quello in cui Chris e Chloe, assieme al fratello di lei, Tom, ai genitori e a Nola (la fidanzata di Tom), ascoltano a teatro la Traviata di Verdi (nello specifico si ascolta un breve passaggio di Un dì felice eterea cantato da Alfredo nella versione per voce e pianoforte). Il secondo riguarda la scena in cui gli stessi personaggi menzionati assistono ad un’altra rappresentazione, questa volta di Rigoletto (si odono le note di Gualtier Maldè…Caro nome, cantato da Gilda). Il terzo caso ha luogo quando en passant nella casa dei genitori di Tom viene dato un party ed un pianista suona un passaggio sempre dalla Traviata. Il quarto riguarda un altro sprazzo di scena ambientata a teatro (questa volta è il prezioso duetto Tell-Arnoldo dal Guglielmo Tell di Rossini). Il quinto caso si verifica in occasione di un’ultima fulminea ambientazione in teatro per “The woman in white” di Lloyd Webber.
Per il resto, si può ipotizzare che, ogni qual volta si ode della musica, sia quando essa emerge nella mente di Chris: essa sembra quasi riflettere fondamentalmente il solitario e sempre più vulnerabile punto di vista del giovane.

Più che andare a ricercare nelle trame delle singole opere il senso della scelta dei brani del film, siamo più propensi a credere che nell’elemento emozionale delle musiche, e ancor più nella scelta delle interpretazioni di quelle musiche, risieda la vera chiave di lettura dell’elemento musicale in Match point.
Il fruscio del disco, la vetustà dei suoni, il timbro drammatico di Caruso, concorrono a creare la vera “tinta musicale” del film (l’espressione “tinta musicale” è d’altro canto invenzione verdiana e pensiamo renda molto bene l’idea). Il senso del “passato” in quanto “trascorso”, in quanto “non più”, insito nelle incisioni musicali storiche, vuole suscitare in noi che vediamo il film un senso di desolazione, di “perdita per sempre”. Il senso dell’inesorabile, della caduta, dello sprofondamento di Chris (di cui il delitto è causa ma anche effetto) viene magistralmente espresso dalla musica.

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Fin dall’inizio del film Allen vuole “portarci” a questo senso, con Una furtiva lagrima dall’Elisir d’amore di Donizetti, la celebre aria del giovane innamorato Nemorino.
Andando poi a considerare le varie altre tappe musicali del film: il primo incontro tra Chris e Nola è contrassegnato dall’atmosfera del Mal reggendo all’aspro assalto (intonato da Manrico nel corso del dialogo con Azucena nella Parte seconda del Trovatore verdiano). La leggera atmosfera del Mia piccirella del Salvator rosa di Gomes fa da sfondo ai primi approcci amorosi tra Chris e Chloe, e a distanza di tempo anche alla scena del loro matrimonio. La triste aria Je crois entendre encore dei Pescatori di perle di Georges Bizet viene associata all’attesa di Chris mentre Nola sta facendo un provino come attrice.

In seguito, Nola viene lasciata da Tom, e questo alimenta in Chris il desiderio verso la ragazza. Nola decide di partire senza avvisare Chris, follemente innamorato di lei. Ricompare la Furtiva lagrima quando avviene il casuale e inaspettato incontro tra Chris e Nola alla Tate modern. Ritrovarla dopo un periodo di “buio” a Londra riaccende in Chris la speranza.
Viene impiegata di nuovo l’aria di Bizet quando Chris e Nola si incontrano una volta di più segretamente a casa di lei ma nel frattempo la pressione da parte della ragazza affinché Chris lasci Chloe ha preso oramai consistenza.
La furtiva lagrima torna un’ultima volta quando Chris una notte prende la decisione di eliminare Nola, rimasta incinta.
Nella tappa musicale successiva, Allen decide di associare una lunga sequenza filmica (l’intera azione del delitto di Nola) alla Scena quinta del Secondo atto dell’Otello verdiano (che si ascolta quasi per intero), quella incentrata sul dialogo tra Otello e Jago e che inizia con l’esclamazione del Moro «Desdemona rea!».

Ad accomunare i due lavori artistici non è la trama, ma il “profumo” del dramma. Possiamo immaginare che in quei momenti di esasperazione e follia “venga incontro” a livello inconscio a Chris il ricordo vertiginoso di questa musica, in cui penetrano come lame parole ed espressioni come “peccato d’amor”, “atroce idea”, “rea contro me”, “m’hai legato alla croce”, “addio sublimi incanti del pensier”, “spaventoso furor che si desta”, “morte e dannazione”, “sangue! sangue! sangue!”, “d’ira e d’impeto tremendo presto fia che sfolgori questa man ch’io levo e stendo”.

Nella scena in cui Chris disperato getta nel fiume i gioielli (la prova da occultare del delitto), Allen ha la grande intuizione di reintrodurre (ma, genialmente, in modo nascosto), a questo punto del film, l’elemento del tennis, di cui Chris è campione, che altro non è se non una metafora del tema della fortuna. E fa pure un’azzeccata scelta musicale: anche in questo caso, pur non essendoci una relazione a livello testuale tra O figli, o figli miei…Ah, la paterna mano cantata da Macduff nel Quarto atto del Macbeth di Verdi e la situazione del film, l’associazione tra questa musica e le immagini della scena risulta comunque di grande impatto.

La furtiva lagrima torna nella conclusione del film quando appunto Chloe pronuncia la frase della figlia femmina e Chris sente più che mai di aver perso la partita della sua vita.

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About Luca Mantovanelli

Saturnino, introverso, Luca Mantovanelli ha iniziato presto ad interessarsi di musica e la sua curiosità per l’aspetto creativo e per la psicoanalisi sfocia all’università con una tesi sulla regìa operistica con applicazione al Don Carlos di Verdi. Ma sono proprio le trame delle opere liriche, talvolta – secondo lui - un po’ dispersive e distanti dalla sensibilità moderna, a ricordare a Luca che nel suo passato alcune altre trame (come per esempio di Amadeus e di Film blu) gli avevano cambiato un po’ la vita. Ecco allora una nuova presa di contatto da parte sua con la ‘settima arte’ (e Bobbio ha rappresentato senz’altro per lui un’insolita quanto stimolante esperienza). I suoi incontri con il cinema (di ieri e di oggi) sono stati sempre meno casuali e sempre più dettati dalla curiosità. Luca ritiene che i prodotti artistici migliori (che riscontrino un successo di botteghino o meno) siano quelli che sentiamo riflettere pezzi del nostro Io, e al tempo stesso in grado di indicarci o aprirci una nuova strada…perché è sempre indispensabile un quid di novità. L’introversione ha portato Luca a trovare nella scrittura il suo più congeniale e gratificante mezzo di espressione.

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